L'altra soluzione

Pubblicato il 22-10-2022

di Renato Bonomo

C’era un giochino che facevamo da piccoli. Chiedevamo a uno di noi di ripetere dieci volte: «Galleggia». Poi a bruciapelo: «Che cosa fa una pietra nell’acqua?». E la risposta era quasi sempre: «Galleggia!». Un piccolo scherzo per dimostrare come la ripetizione ossessiva condizioni la nostra coscienza.

È successo diverse volte anche nella storia. Lo stesso scoppio della Prima guerra mondiale sembra essere l'esito fatale di una società europea che, a forza di ripetersi che non esistevano strumenti alternativi alla guerra, non aveva elaborato proposte diverse da quelle del conflitto armato per la risoluzione delle controversie

Nei decenni immediatamente precedenti la Grande guerra, l’Europa aveva vissuto uno sviluppo esponenziale della produzione industriale e del commercio mondiale con conseguente crescita del proletariato; dominava sugli oceani e aveva conquistato gran parte dell’Africa; viveva un progresso tecnico e scientifico senza precedenti, tale da convincere la società occidentale del proprio potere e della propria superiorità; aveva progressivamente democratizzato le istituzioni mediante la partecipazione dei ceti popolari. Il tutto avvenne in un clima di diffusa e profonda conflittualità che nell’universo mentale del tempo non poteva essere risolta che mediante una lotta violenta. Il socialismo promuoveva infatti la lotta di classe tra borghesia e proletariato con l’obiettivo finale della rivoluzione; il nazionalismo, nella sua visione estrema e integrale, sosteneva la lotta cruenta tra nazioni. In ambito economico, il capitalismo sosteneva la concorrenza sfrenata che doveva eliminare i soggetti più deboli. In politica estera il colonialismo richiedeva una potenza militare come garanzia del proprio dominio. Nella cultura si respirava un clima da tramonto dell’occidente, di conflagrazione universale pronta a cambiare le sorti del pianeta.

In un quadro come questo, la guerra, intesa come “sola igiene del mondo”, sembrava assumere un ruolo fondamentale per la rigenerazione sociale.
Il punto fondamentale è che nel 1914 l’approccio ideologico ha impedito di seguire altre strade rispetto a quella della guerra. Le categorie mentali della società tardo ottocentesca e primo novecentesca erano profondamente limitate e consideravano la guerra come unica soluzione delle controversie.
Per questo, quando leggiamo della Prima guerra mondiale, è facile cadere nell’inganno dell’inevitabilità.
Quasi che gli eventi non potessero accadere diversamente. In realtà, le cose potevano andare diversamente, se nell’universo mentale fossero prevalse prospettive alternative di risoluzione dei conflitti.

Dopo settanta anni di sostanziale pace europea, l’invasione russa dell’Ucraina ha messo in crisi le nostre coscienze e ci fa correre il rischio di ricadere nella convinzione profonda che solo la guerra possa risolvere i problemi, che non ci siano altre vie, altre soluzioni. L’esempio della Prima guerra mondiale ci aiuta a comprendere che ogni società affronta la situazione del suo tempo con delle categorie mentali legate al proprio specifico contesto storico. Ma non sono le uniche.
La vera sfida è non rinunciare mai all’orizzonte della pace, sia a breve che a lungo termine. Se anche fosse necessaria la risposta armata per combattere un aggressore autoritario, essa dovrebbe rimanere una reazione immediata, puramente difensiva e limitata a tale scopo, come ci ricorda anche la dottrina sociale della Chiesa.
Ma tale risposta armata immediata non potrà coincidere con l’orizzonte di riferimento, non dovrà essere confusa con l’obiettivo di lungo termine.
La ri-costruzione di una nuova mentalità della pace è appena all’inizio.


Renato Bonomo
NP giugno / luglio 2022

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