il tempo delle briciole

Pubblicato il 03-05-2021

di Gian Mario Ricciardi

 

Mi trovo, come Mario Rigoni Stern, a raccogliere le briciole. Lui cer­cava i pezzi di legna per la stu­fa, io per il camino. Fa freddo in questo pazzo inverno di sole, neve, caldo e ghiaccio.

Allora, come ora, intorno c'era un deserto di in­certezza. Lui sperava che, dopo il gelo, la neve, il freddo, sorgesse un'altra alba radiosa. Noi, tanti anni dopo, facciamo lo stesso. Mi vengono in men­te i dispersi dell'Armir in Russia; ricordo le imma­gini epiche del dottor Zivago con il ghiaccio intor­no, una matita, residui di guanti di lana (manufle in piemontese). E mi guardo intorno in questo mese che, storicamente, annunciava la vicina rinascita, il sole, il caldo, la primavera, le primule, i fiori.

Vedo gente sempre più nervosa per la pandemia che non passa, persone che non sanno, domani, come pagare le bollette della luce, del gas, dell'ac­qua e dei rifiuti. Scorgo sempre di più cartelli sui negozi chiusi: vendesi attività, cedesi locale.

È una tristezza infinita quella che colgo in una mattina qualsiasi, prima delle otto: mamme con i bimbi per mano che cercano di raggiungere gli asili nido, le scuole materne, le elementari, le me­die. Nessuno di loro, e di noi, non capisce più se sono nei giorni di giallo, arancione, rosso, bianco. Sono, come in tempo di guerra, tentativi obbligati di salvare la vita e un'apparente normalità, allora tra spie, bombe, nazifascisti, ora tra tamponi, ma­scherine, guanti e tanta speranza.

Ma è lì che deve venire a galla la nostra resistenza, lontana anni luce, dagli algoritmi della politica, dalle maestrie di palazzo, dagli inganni. È lì, mi dico, che viene a galla la forza delle tradizioni e de­gli esempi dei nostri papà e dei nostri nonni. Come diceva Dante: «Qui si parrà la vostra nobiltade».

La nostra nobiltà sono: le mamme e i papà che, magari col magone nel cuore perché l'ufficio o la fabbrica chiude, accompagnano a scuola i bimbi, proteggendoli e recitando con loro una preghiera; lo stuolo di persone che, sfidando il virus, sal­gono sui mezzi pubblici e vanno, se possibile, a lavorare; le migliaia di lavoratori che alzandosi al mattino, quando ancora a lungo è notte, ci garantiscono la luce, l'acqua, il caldo, la vita; i medici e gli infermieri che, mettendo a repen­taglio le loro vite, sono in ospedale per le cure, i vaccini, i raggi, le prenotazioni, l'accettazione; i politici, quelli veri, che, rischiando in proprio, firmano documenti ed atti che ci potranno per­mettere di uscire dall'incubo; le suore dei mo­nasteri che scendono nel cuore della notte per fissare i loro sguardi nel Signore.

Non c'è spazio per la rassegnazione. Vedo tan­ti volti mentre, tra un semaforo ed un obbligo di svoltare, "taglio" la città: da corso Bramante a corso Massimo d'Azeglio, a piazza Borgo Dora. A ridosso del Valentino, attraversano la strada due donne spingendo carrelli del supermercato con dentro di tutto e due cani.

Mi chiedo? Dove hanno passato la notte? Dove vanno? La Caritas non sa più dove sbattere la testa per cercare cibo e risolvere situazioni ve­ramente complesse. Io, un garantito come dice Massimo Cacciari, proseguo verso i miei obietti­vi, ma la vita che ci gira attorno è stata totalmen­te minata dal Covid. È vero, a noi ha tarpato la vita sociale, le relazioni, i rapporti, gli incontri. Anzi, ci sta distruggendo "dentro" perché ogni piccolo malessere diventa sospetto di Covid. Ma noi stiamo al caldo, e gli altri? Chiediamocelo, qualche volta e raccogliamo le briciole. Briciole di tutto: di sobrietà, di umanità, di generosità, di schiettezza, briciole di vaccino perché così è al di là degli stucchevoli scontri su chi ha comprato, chi no e quale, la centrale europea, la Germania, i libri sulla pandemia finita.

Il vaccino arriva, con i ritardi, gli sbagli, le fol­lie della politica, ma le briciole, prima o poi, ar­rivano anche a noi. Ecco le briciole, come quelle del ricco epulone. Sono per noi e per gli altri. Tutti, nessuno escluso, nessuno scartato. Rac­cogliamole. Con le briciole si fa il pane: il pane quotidiano. E quello di oggi è buono anche do­mani.

NP Febbraio 2020

Gian Mario Ricciardi

 

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