Il generale in pensione

Pubblicato il 16-01-2024

di Renato Bonomo

Il 19 novembre 1971, un reparto di bersaglieri del 22° reggimento fanteria della divisione Cremona rese gli onori militari al corpo di Pietro Brandimarte. Apparentemente nulla di strano, Brandimarte era stato decorato con la medaglia d’argento al valor militare per le sue gesta nella Grande guerra. Se non che Brandimarte, reduce ed eroe della Prima guerra mondiale, lottatore e ginnasta, finito poi a lavorare come semplice commesso di merceria nella Torino del primo dopoguerra, era diventato nel 1922 capo di tutte le squadracce fasciste torinesi. Con quel grado aveva partecipato all’adunata di Napoli e alla successiva marcia su Roma. Ma Brandimarte fu soprattutto tra i principali responsabili della cosiddetta strage di Torino avvenuta dal 18 al 20 dicembre 1922. Mussolini era già al governo da circa un mese e mezzo, ma il suo incarico non era bastato ad arginare la violenza fascista che, anzi, continuava a distruggere sistematicamente i circoli e le sedi sindacali e di partito che si dimostravano irriducibilmente antifasciste.

Nella notte del 17, nella periferia sud della città, i giovani fascisti Giuseppe Dresda, ferroviere, e Lucio Bazzani, studente di ingegneria, vennero uccisi in uno scontro a fuoco da un militante comunista, Francesco Prato. Prato, seppur ferito, riuscì a fuggire, venendo poi nascosto dai compagni in un’abitazione della zona. Il fatto di sangue fu la scintilla che fece scatenare la violenza fascista. Il fascio di Torino ordinò la mobilitazione generale e la rappresaglia

«I nostri morti non si piangono, si vendicano. [...] Noi possediamo l'elenco di oltre 3.000 nomi di sovversivi. Tra questi ne abbiamo scelti 24 e i loro nomi li abbiamo affidati alle nostre migliori squadre, perché facessero giustizia. E giustizia è stata fatta». Circa il problema dei cadaveri non ancora trovati: «saranno restituiti dal Po, seppure li restituirà, oppure si troveranno nei fossi, nei burroni o nelle macchie delle colline circostanti Torino». Così in un’intervista a un giornale locale, si esprimeva Pietro Brandimarte all’indomani dell’eccidio squadrista. I morti furono 11, 26 i feriti, per lo più ferrovieri socialisti, comunisti e anarchici. Tra di loro anche un proprietario di osteria. La colpa: essere antifascisti.

Torino per più di due giorni vide annullata ogni forma di legalità. Le istituzioni pubbliche furono piegate dalla debordante forza delle squadracce che, con i loro vessilli neri, pretendevano di incarnare la nazione, investiti come si sentivano di una sacra missione conquistata per merito e con il sangue nelle trincee della Grande guerra: punire e liberare l’Italia dalla minaccia bolscevica. Quel giorno anche quello che restava dello Stato liberale morì definitivamente con le vittime del furore nero.

Tra le undici vittime troviamo Pietro Ferrero, che era segretario della Federazione degli operai metallurgici (FIOM), reso irriconoscibile dalle botte e dall’essere stato trascinato per corso Vittorio Emanuele legato per i piedi a un camion. E poi Andrea Ghiomo e Matteo Tarizzo, due antifascisti uccisi con il cranio fracassato da bastonate.

Le altre vittime si chiamavano Carlo Berruti, Matteo Chiolero, Erminio Andreone a cui bruciarono anche la casa, Leone Mazzola, Giovanni Massaro, Cesare Pochettino, Antonio Quintagliè, Evasio Becchio.
Destino diverso ebbe Stefano Zurletti che si finse morto e venne salvato in extremis. Fu ricoverato in ospedale, ma anche lì dovette subire violenze e angherie dai fascisti.

Brandimarte, arrestato a Brescia nel 1945, venne processato per dieci di quei delitti. Nel 1950 fu condannato dal tribunale di Firenze a 26 anni e 3 mesi di reclusione. Tuttavia, nel 1952 la Corte d’assise d’appello di Bologna lo assolse per insufficienza di prove, lasciandolo così libero e senza aver saldato il conto con la giustizia. Anzi, quando nel 1959, il figlio di un antifascista sua vittima lo riconobbe per strada e lo prese a male parole, Brandimarte lo aggredì e lo portò al più vicino posto di polizia, giustificandosi che nessuno poteva offendere un generale in pensione!


Renato Bonomo
NP dicembre 2023

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