ALBANIA: L'ora della rinascita. Giornata missionaria 2007

Pubblicato il 06-10-2011

di Claudio Maria Picco

 

Rimettere in gioco il significato della propria presenza in una terra è segno di grande apertura ed amore. Lo fa Antonio Sciarra, missionario fidei donum nella zona montuosa della Zadrima al nord dell’Albania. Lo abbiamo intervistato in vista della Giornata missionaria mondiale 2007. La sua riflessione si amplia anche al 50° anniversario della pubblicazione dell’enciclica “Fidei donum”.

a cura di Claudio Maria Picco

 

ALBANIA: l’ora della rinascita
Don Antonio, parlaci dell’emigrazione dal punto di vista albanese.
Gli albanesi presenti in Italia credo siano ca. 300mila, quasi tutti ormai con permesso di soggiorno. Ci sono ancora immigrati che giungono clandestini, ma attraverso Bulgaria e Paesi del Nord, non più con rischiosi viaggi via mare. Dal punto di vista dell’Albania, l’emigrazione ci restituisce degli albanesi civilizzati: la maggior parte di loro accetta un lavoro uscendo dall’illegalità, addirittura costituisce delle microimprese, soprattutto nell’edilizia.
Don Antonio Sciarra con un giovane della sua parrocchia Io stesso, che una volta temevo che l’emigrazione svuotasse il Paese, ho constatato che diventa per i più una scuola di educazione al lavoro onesto, alle regole. Questi sono gli anni dei ricongiungimenti familiari: l’albanese ha fatto tanti sacrifici ed ora vuole la famiglia in Italia, oppure spende perché al suo Paese genitori e fratelli, abbiano una casa dignitosa. L’Albania, sotto il profilo abitativo, si sta trasformando; non per interventi governativi - non ne vedo, e non esistono case popolari - ma grazie all’emigrato che rimane legato alla sua terra. Parliamo, naturalmente, delle migliaia di famiglie che si sono inserite nel Paese di destinazione: lavorano, hanno una macchina, i figli vanno a scuola, hanno contatti con le parrocchie…

Un fatto nuovo per noi sacerdoti in Albania è che, mentre una volta tornavano gli emigrati dicendo “Ho 2 settimane di tempo, voglio battesimo, cresima, matrimonio”, adesso invece dicono “Ho fatto il corso di preparazione, questo è il certificato, ora desidero celebrare il matrimonio”, oppure “Desidero il battesimo per mio figlio, ho già fatto la preparazione”.
La criminalità si sta riducendo?
Si dice che il 10% dei fatti criminosi in Italia siano commessi da albanesi. Certo, se è vero è ancora tanto. Nella zona dove io opero in Albania la malavita organizzata non esiste; nei villaggi il prelievo di ragazze per il commercio sessuale avviene di rado. C’è da preoccuparsi però per le studentesse delle città, soprattutto Tirana; è lì che il fenomeno è da tenere sott’occhio, perché le condizioni precarie in cui vivono alcune famiglie fanno sì che le ragazze siano attratte da una doppia vita. Sostanzialmente però il progetto di fare tanto denaro e presto in modo disonesto, all’interno dei racket, è diminuito. Il popolo albanese sta recuperando onorabilità.
Oggi ciò che mi preoccupa di più è la corruzione a livello governativo e di funzionari, che pretendono di essere pagati per svolgere il proprio lavoro. Il governo si è dato il programma di smantellare questa mentalità e qualcosa si sta muovendo: di recente ha sostituito uomini della magistratura che favorivano le agenzie del crimine.
Come si pone oggi la vostra presenza di missionari?
Nel decennio scorso l’emergenza che ci siamo trovati ad affrontare era la povertà, l’arretratezza. In questo nuovo tempo, oltre che intensificare l’evangelizzazione, dobbiamo incentivare la responsabilità dei laici, che siano con noi Chiesa, e l’aspetto caritativo. L’albanese per tanti anni si è abituato a chiedere, anzi, a pretendere. Adesso però le organizzazioni internazionali, come la Caritas italiana e francese, hanno concluso la loro presenza nel Paese. È ora che chi ha qualche possibilità, le famiglie che hanno un emigrato e stanno benino, si ricordino dei più poveri.
Noi missionari ci siamo fatti la fama di essere persone senza secondi fini, con molta disponibilità, promotori di crescita; ora dobbiamo intervenire per costruire più intensamente una nuova società, con il coinvolgimento della gente. Stiamo aiutando l’albanese a farsi una cultura sul posto, a capire che all’estero le cose non sono come gli era stato fatto credere. Anche quelli che sono andati in America, pensando di aver vinto alla lotteria, poi hanno dovuto piegarsi a un lavoro estenuante, di cui non immaginavano il peso; eppure resistono. Ci sono donne che qui al massimo mungevano la mucca e adesso fanno due lavori, guidano la macchina… hanno dovuto imparare che l’America è questo: lavorare molto.
Perciò noi missionari stiamo cercando di offrire dei contenuti di legalità, stiamo facendo il possibile per dare una testimonianza di trasparenza, anche nei rapporti con la legge. L’aspetto educativo è il nostro nuovo ruolo in Albania. Dobbiamo cercare di occupare il posto che non abbiamo occupato nei tempi difficili, quando non abbiamo saputo correre rischi, accettare le sfide che i tempi ponevano. A fine mese, nel 50° anniversario dell’enciclica “Fidei Donum” (vedi box), ci ritroveremo noi 30 sacerdoti fidei donum e ci interrogheremo sugli obiettivi della nostra presenza nel Paese (oltre a noi, i religiosi sono ca. 90, 19 i preti ordinati dopo il 2000). “FIDEI DONUM”
L’enciclica “Il dono della fede” di Pio XII, del 21 aprile 1957, è un pressante invito alla Chiesa cattolica per l’impegno missionario attraverso la preghiera, la generosità, il dono – per alcuni – di se stessi. Ed è un invito ai vescovi delle Chiese occidentali, perché autorizzino loro sacerdoti a mettersi a disposizione dei vescovi dei Paesi di missione. Per questo, i sacerdoti “donati” da una diocesi ad un’altra, più povera di preti e spesso anche di risorse, si chiamano “fidei donum”.

Vedi il testo dell’enciclica
Vuoi iniziare tu a fare un bilancio?
Purtroppo negli anni passati i pastori della Chiesa albanese non hanno capito che avevano responsabilità notevoli. Adesso le cattedrali sono grandi e belle, le chiese sono dovunque, ma quando verrà scritta la storia dell’Albania non si potrà dire che negli anni 1995-2000 qualcuno di noi si sia esposto, per esempio, per difendere la dignità delle donne vittima della tratta. Le attenuanti ci sono, non avevamo capito cosa stesse veramente accadendo, il governo non voleva che questa piaga mettesse in cattiva luce il Paese e cercava di coprirla, come copriva le vittime degli sbarchi dei gommoni. Ora però sono stati pubblicati dei libri in cui si denuncia la scomparsa di 9000 persone: dove sono? Quante donne sono partite e non sono arrivate… erano nelle mani dei traghettatori. Se sulla spiaggia opposta c’era la polizia, il traghettatore buttava a mare tutti e tornava indietro; valeva più il gommone che la vita delle persone.
A questo convegno, dunque, dovremo dirci che non ci dobbiamo far sfuggire altre occasioni per essere una Chiesa testimoniante, che va oltre le indicazioni generiche, moralistiche. Dovremo attrezzarci per essere lettori delle realtà in maniera più profonda. Il Vangelo dice di dare la vita: su questo ci dobbiamo misurare. Ci saranno sempre tentazioni: penso a chi dice “L’agricoltura non va, coltivo marijuana”. L’Albania è, dopo l’Olanda, il Paese che produce più cocaina, più marijuana. Questo primato è da abbattere.
Il nostro ruolo di Chiesa è sempre delicato; portiamo volentieri in Italia un ammalato che ha bisogno di cure, e forse non ci costa molto, ma dobbiamo essere sentinelle attente anche su temi più scottanti e pericolosi. Qual è la carità da fare adesso? È con le sfide che umiliano questo popolo che ci dobbiamo confrontare: la famiglia, l’aborto, 3000 bambini all’anno che spariscono, un migliaio di tossicodipendenti in più ogni anno… Tirana. Paesaggio urbano in evoluzione.

Intervista a don Antonio Sciarra, a cura di Claudio Maria Picco
da Nuovo Progetto ottobre 2007

 

 

 

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