Per una volta dietro l’obiettivo

Pubblicato il 19-05-2024

di Claudio Maria Picco

Ci ha lasciati un amico prima che un collaboratore
NP Nuovo Progetto deve molto a Alberto e ai suoi insegnamenti. Riportiamo di seguito una bella chiacchierata di alcuni anni fa

Possiamo farti una foto? Pensavo che non avrebbe accettato di stare dalla parte sbagliata dell’obiettivo. Invece sorride, si gira verso Andrea quasi a dirgli: dai, tira fuori la macchina che la facciamo. È lui stesso a accendere le luci e a mettersi in posa. Lo abbiamo conosciuto anni fa quando i soccorritori avevano accompagnato all’Arsenale della Pace un tossicodipendente caduto nel fiume che scorre lì vicino. Da allora siamo rimasti in contatto. Alberto è un fotografo affermato, ha lavorato per tanti giornali, italiani e stranieri, è stato nei teatri di guerra di mezzo mondo, è il fotografo ufficiale del Teatro Regio e non ama definirsi fotoreporter.

Reporter è uno che va e riporta delle cose – dice – invece il fotografo è uno che cerca di cogliere le cose un po’ dietro la facciata dell’avvenimento. Il punto è: fotografo il palazzo che crolla o gli occhi di quello che sta guardando il palazzo che crolla? Il palazzo che crolla lo riprende la televisione, che coglie in diretta il movimento. Il fotografo fa un lavoro legato alla psicologia, un lavoro che sta leggermente dietro le quinte dell’avvenimento, che cerca di capire perché».

Siamo seduti in una sala del suo studio ricavato in uno scantinato. L’ambiente è essenziale. Con la sigaretta che continua a bruciare fra le dita ci racconta di essere stufo che la professione del fotografo sia ammantata da un mito un po’ fasullo: «Si deve per forza essere dei guerrieri, degli eroi; invece, per quanto abbia delle implicazioni umane, quello del fotografo è un lavoro come tutti gli altri, legato alla professionalità più che all’anima».

Andrea vuole sapere come è cambiato il mondo della fotografia con l’avvento del digitale. «È cambiato tantissimo, perché dà la possibilità di disporre subito delle fotografie. Prima c’erano i rullini da sviluppare, poi c’è stato un periodo in cui i rullini bisognava scansionarli. Adesso con il digitale il pallone è ancora in rete e dall’ufficio già spediscono la foto del gol appena fatto. Si è creata una situazione che dà la possibilità a chiunque di arrivare comunque; qualunque fotografo ha la possibilità di accedere a tutti i giornali».

Ma allora a un giovane fotografo cosa consigli? «Prima di tutto gli farei gli auguri, perché non è che ci siano molti spazi. Consiglierei comunque di badare alla qualità che alla fine è l’unica cosa che paga». Alberto Ramella è proprio così, un po’ controcorrente, come quella volta in Kosovo: «C’era una bambina vestita d’azzurro che piangeva, aveva un cagnolino in braccio appena morto, c’era una bella luce. Sarebbe stata una bella foto sia dal punto di vista estetico che emotivo. Non me la sono sentita di fotografarla. Altre volte in altre parti del mondo persone testimoni di misfatti mi hanno chiesto loro di essere fotografate. Questo ti dà da pensare come l’etica sia importante. Prima dei soldi, prima di fare la foto, prima del fatto che devi tornare a ogni costo con la foto, ci deve essere un’etica. Hai a che fare con un essere umano e se capisci che non è il caso, non è il caso e basta! Va beh, ci avrai rimesso, pazienza, succede nella vita».

Siamo alla fine, ma non demorde. «Pensavo che mi chiedeste qualcosa di più serio del tipo: tu credi in Dio?». A noi sembrano cose serie quelle che ci hai appena raccontato, però se vuoi: credi in Dio? «Certo che credo in Dio!… Non credo in tutto ciò che l’uomo ha costruito falsamente intorno a Dio per la convenienza di pochi, e questo ci riguarda tutti».


Claudio Maria Picco
NP aprile 2024

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