Cosmopolitismo

Pubblicato il 27-06-2021

di Sandro Calvani

Nelle città asiatiche il cosmopolitismo sta facendo passi da gigante. Clubs di promozione e facilitazione della pluralità delle culture esistono in oltre mille città del mondo, la sola rete Internations ne conta oltre 420. A partire dal 2000, le capitali e le città asiatiche hanno visto crescere impetuosamente ogni rete cosmopolita, come per esempio le scuole di lingue e le scuole internazionali. A Bangkok le dodici scuole internazionali che esistevano nel 2000 sono divenute 86 nel 2020, a Singapore sono 110 e a Hong Kong 70; a Nairobi le scuole internazionali che erano quattro nel 2000 sono divenute 41 nel 2020. Sono indicatori di comunità pluri-culturali molto vivaci che continuano a crescere velocemente e ad essere sempre più accettate e benvolute dalle culture dominanti. Attorno ad esse crescono centinaia di interessi e sperimentazioni di incroci culturali di ogni tipo, dall'architettura alla musica, dalla cucina al tessile, dall'agricoltura ai nuovi materiali per l'arte. I giovani che crescono in quegli ambienti hanno ormai appiattito le frontiere nei loro cuori e rigenerano o reinterpretano molte professioni in modo universalista. Per questo ogni professionalità al mondo ha la sua propria rete di inclusività e fratellanza internazionale: dai più conosciuti medici senza frontiere e reporters senza frontiere, fino agli avvocati senza frontiere, architetti e artisti senza frontiere, psicologi senza frontiere, agronomi senza frontiere e dozzine di altri.

Sono tutte organizzazioni di fratellanza professionale globale, senza fine di lucro e con un principio in comune: «Poche chiacchiere – quelle poche vanno bene in qualunque lingua – e azione pronta, competente, risolutiva dei problemi di chi ha più bisogno». Per i cosmopoliti multi-locali come me ai quali interessa di più la cultura e le buone pratiche che migliorano la qualità della vita, piuttosto che le teorie dei massimi sistemi, c'è solo l'imbarazzo della scelta tra le reti degli scrittori senza frontiere, gli umanisti senza frontiere oppure, con lo stesso impegno e serietà tipiche dei genovesi, anche il pesto genovese senza frontiere proposto dalla rete mondiale degli chef rifugiati Tables Without borders.
Un buon esempio viene dalla città di Kochi (Kerala, India), orgogliosa della sua storia cosmopolita per eccellenza. Negli ultimi sei secoli, ondate successive di migranti sono arrivate in città divenuta casa loro. Kochi vanta fiorenti comunità di indù di ogni parte dell'India, buddisti, musulmani e cristiani che vivono insieme in armonia. Per più di duemila anni, anche una grande comunità di ebrei ha vissuto felicemente a Kochi, prima di trasferirsi in Israele. Sebbene ciascuno di questi gruppi sia stato sottoposto a tendenze di assimilazione, nessuna comunità è stata costretta ad abbandonare le proprie convinzioni e costumi culturali e religiosi. Ciascuno si è adattato alle condizioni locali, sviluppando nuove pratiche multiculturali. Kochi è ora una comunità multiculturale integrata, che esprime con gioia le sue differenze cosmopolite.


Sandro Calvani
NP marzo 2021

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