Come noi

Pubblicato il 12-07-2023

di Guido Morganti

Come già nell’editoriale di questo numero, vogliamo parlare di immigrazione. Sin dall’inizio di Progetto, la vicinanza concreta del Sermig con la drammatica realtà delle migrazioni ha spinto a declinare la situazione prendendo atto che il sottosviluppo, le immense risorse destinate alle armi, le politiche economiche e di sfruttamento sarebbero state causa di trasformazioni epocali. Leggiamo Giorgio Ceragioli in un articolo del 1982: «Florida, California, Arabia, Europa, Italia sono il paradiso per molti, anche se c'è violenza, crimini, droga, pericoli gravi, ma sempre meno gravi per chi ha la sola prospettiva di una vita fatta certamente di miseria, di denutrizione, a volte dì una morte prematura per fame o malattia. È la terra, tutta intera che rischia di diventare un paradiso perduto per tutti, anche se potrebbe essere un paradiso trovato per tutti; e, d'altronde, anche se lo si volesse, non si può più pensare a paradisi particolari, a enclaves per i fortunati, con fuori i poveri a guardare. Essi vogliono entrare perché hanno capito che è loro diritto, che la terra è stata data a tutta l'umanità e non solo a una parte, che le possibilità di vivere devono essere condivise. Oggi entrano come clandestini, patendo e soffrendo: domani se non si capisce la nuova grande realtà del mondo e se non la si trasforma in una nuova grande solidarietà, la rabbia potrebbe diventare odio e violenza e il rischio di perdere la terra si farebbe ancor più vicino».
Dal 1987 all’Arsenale della Pace cominciamo ad accogliere gli immigrati che sempre più numerosi bussavano alla porta. La risposta non adeguata della città ci convinse ad aprire un centro di riferimento e di accoglienza. Il nome ci venne incontro: “Come Noi”, perché ogni uomo vuole essere trattato da persona, essere considerato uguale agli altri. “Come noi” significa: tratto gli altri come vorrei essere trattato io; non sono accolto in un dormitorio, ma in una famiglia dove tutti hanno la stessa dignità, non importa se bianchi o neri, cristiani o musulmani, rumeni, marocchini o italiani. Il regolamento che guida la vita del centro “Come Noi” è un’opportunità - tanto per chi accoglie come per chi è accolto - per educarci a una vita insieme fatta di diritti e doveri comuni. Il collante che rende possibile la convivenza è il rispetto reciproco. Fin dall’inizio lo stile dell’accoglienza è stato e continua a essere quello della reciprocità di diritti e doveri. Sulla base di questa esperienza concreta Progetto ha raccontato l’esperienza dell’accoglienza, della necessità di reciprocità, del dialogo. Interessanti le pagine dove abbiamo presentato documenti importanti la cui lettura è ancora oggi di grande attualità.

Nel 1990 sul n. 6, Ernesto parla a un convegno: «Possiamo raccogliere la sfida profetica che l'immigrazione ci lancia e cercare risposte di speranza oppure esser travolti in una tragedia […]. Occorre iniziare a riflettere insieme, a ripensare, per gettare le basi di una società multirazziale basata sulla tolleranza. Occorre che si stabiliscano le regole del gioco: diritti ma anche doveri da parte di tutti, da parte di chi accoglie e di chi è accolto. Integrazione significa anche cercare di comprendere il Paese in cui si entra, ed essere tesi a un concetto di convivenza, non di occupazione o colonizzazione culturale e politica. […] Per chi ha già in sé questo bagaglio di amore, di fratellanza, di tolleranza, la responsabilità è vivere questi valori in prima persona ed essere credibile. È necessario insistere sulla strada del dialogo anche se ci potranno essere fallimenti. […] La semplicità, la preghiera, la tolleranza, sconfiggeranno ancora una volta l'impossibile e questi valori faranno camminare la storia degli uomini verso una effettiva fratellanza, in un mondo pacificato».

E sul numero di gennaio del 1996 troviamo il documento Vogliamo poter convivere: «[…] Noi, un popolo di emigranti, corriamo il rischio gravissimo di diventare un popolo chiuso e di apparire razzista. Non vogliamo accettare ghetti, luoghi di miseria e violenza, perché, come testimonia la storia in ogni parte del mondo, non hanno mai contribuito a costruire una società in pace. Non vogliamo accettare nuovi schiavi costretti per paura ad accettare lavori infami, abitazioni indegne. Non vogliamo accettare nuove schiave costrette a vendere il proprio corpo per comprare la libertà. Vogliamo accogliere con serietà e con metodo, promuovendo un progetto concreto di convivenza. Ma è anche necessario che le Istituzioni svolgano responsabilmente il loro ruolo. […] L’incontro tra diverse culture, religioni, razze è positivo quando affrontato con il desiderio di reciprocità e con il concetto di mondialità nel cuore. L’accoglienza non deve tradursi in semplice assistenza paternalistica, occorre insistere sulla reciprocità di diritti e doveri. Deve essere richiesto loro, con fermezza, di conoscere e rispettare la società che li accoglie, nella sua cultura, nelle sue leggi. […] Lo sforzo educativo richiede tempi lunghi, fatica, fermezza, determinazione, ma è una delle poche strade a disposizione di ogni cittadino che consenta di costruire un futuro di convivenza civile».
Negli anni la nostra posizione non è cambiata di molto.

Nel 2008, n. 1, introducendo il documento di Ernesto Olivero dal titolo Insistere sulla strada del dialogo, viene ribadito che: «A distanza di anni, la lettura data dal Sermig alla realtà dell’immigrazione si è rivelata profetica. Riproponiamo quella che è stata la chiave delle nostre esperienze di accoglienza: una famiglia che accoglie con metodo, cioè con delle regole certe».

Nell’editoriale del n. 6 del 2015, leggiamo: «Di fronte alle migliaia di uomini, donne e bambini che arrivano sulle nostre coste, ci dividiamo e ci massacriamo di parole, di polemiche, di rigidità. È la tragedia del nostro tempo che però può diventare un’opportunità. […] L’accoglienza non è automatica, accogliere per accogliere, magari lucrando su un sistema in cui troppi affaristi hanno messo radici. Ma farlo nella certezza di uno Stato di diritto che abbia il coraggio di fissare regole, valori, punti di incontro. Uno Stato capace di accogliere sarebbe la dimostrazione – come ha detto il presidente della Repubblica ai giovani del Sermig – che la democrazia funziona meglio perché capace di accogliere quelli che fuggono. Io sogno un’accoglienza senza sconti, un’accoglienza che comunichi con i fatti ai bambini migranti che la terra dove sono approdati è terra amica. Un’accoglienza così però parte da un patto. Chi è accolto deve entrare nel cuore della nostra Costituzione, imparare subito la lingua, conoscere la nostra cultura. Ha diritti, ma soprattutto doveri. Solo così potrà iniziare un cammino di integrazione».
È quello che stiamo cercando di costruire ormai da una decina di anni con Arsenale della Piazza e più recentemente con l’Arsenale dello Sport e l’Emporio solidale. In particolare, l’Arsenale della Piazza, con la città immaginaria ma reale di Felicizia, rappresenta il tentativo concreto di costruire una nuova cittadinanza che coinvolge persone che provengono da Stati e culture diverse, ma che hanno nel cuore il desiderio di essere italiani e di vivere insieme come tali. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ne ha intuito le grandi possibilità quando, durante la sua visita all’Arsenale della Pace del novembre 2019, ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Felicizia. Come noi, come loro.


Guido Morganti
NP aprile 2023

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