A lui è bastato un fiore…

Pubblicato il 09-02-2013

di Mauro Tabasso

di Mauro Tabasso - Sergio Endrigo, un grande dimenticato (NP Ottobre 2005)

"La vita, Amico, è l’arte dell’incontro" disse Vinicius De Moraes, e spesso conseguenza di un incontro è la nostalgia o "saudade" come direbbero i nostri amici brasiliani, conterranei proprio di De Moraes, grande vate della poesia (più che della musica) carioca.
Anche in Italia la "saudade" (si pronuncia "saudagi" o qualcosa di simile) aveva un suo oracolo scomparso proprio il mese scorso (n.d.r., l'articolo è del 2005), che della frase di De Moraes ne fece il titolo di una canzone e di un disco (del 1969). Costui era Sergio Endrigo, nato nel 1933 a Pola, nell’allora Istria, divenuta in seguito Jugoslavia e poi Croazia, da una famiglia poverissima. Il padre, scalpellino e tenore dilettante, morì quando il piccolo aveva 6 anni, e la madre dovette adattarsi a mille umili lavori, e poi (dopo l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia) a emigrare.
Sergio EndrigoLa nostalgia ha perciò in qualche modo sempre fatto parte della sua vita e di certe sue opere, e forse per questo aveva un legame particolare sia con il Brasile (dove si è esibito moltissime volte nell’arco della sua carriera - l’ultima volta nel 2000 con un successo straordinario) che con De Moraes. Forse non a caso vinse a Sanremo nel ’68 (con "Canzone per te") in coppia con un altro brasiliano, Roberto Carlos, e ancora collaborò in tempi più recenti (1979) con altri due grandi della musica di quella terra: Toquinho (che scrisse per lui "Samba para Endrigo")  e Chico Barque de Hollanda (che scrisse "A rosa").
Ma le collaborazioni illustri e i successi di Endrigo non si contano, sia all’estero che in Italia, da più di 40 anni; da "Io che amo solo te" che vendette oltre 650.000 copie nel 1962 (non so se mi spiego…) fino al 2000, quando è Franco Battiato a incidere due suoi brani: "Te lo leggo negli occhi" e "Aria di neve", entrambi contenuti nell’album "Fleurs" (per mesi in classifica).
Nel 2001 gli è stato conferito il "Premio Tenco" e nel 2003 è Ornella Vanoni a incidere (magistralmente) altri suoi brani tra cui nuovamente "Io che amo solo te". Ha scritto e firmato canzoni praticamente con tutti i nomi storici della musica italiana, da Mariano Rapetti (padre di Giulio, in arte "Mogol") a Sergio Bardotti, a Franco Migliacci (alcuni tra i più grandi parolieri italiani di sempre). Non tutti poi sanno che è tuttora in corso una vertenza legale per plagio con Luis Enrique Bacalov (con cui aveva collaborato dal ’63 al ’75), reo (pare, ma non si è ancora arrivati a una sentenza) di avere scopiazzato una sua canzone del 1974 ("Nelle mie notti", scritta insieme a Paolo Margheri e a Riccardo del Turco, suo cognato) utilizzandola poi nella colonna sonora del film "Il postino", che gli valse l’Oscar nel 1995.
Comunque sia, non male, direi, per un musicista autodidatta. Un’altra grande passione di Endrigo (coltivata anche questa da autodidatta) è la letteratura. Pare leggesse moltissimo e di tutto (ha scritto anche un libro), ma in particolare pare amasse la poesia. Forse questa l’ha portato all’incontro con De Moraes, con Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Ungaretti. Ma a parte queste e moltissime altre notizie di carattere storico (che tralascio), per quelli della mia generazione (ma non solo) il nome di Endrigo resterà per sempre legato a brani come "L’Arca di Noè" (terza a Sanremo nel 1970 - cantata in coppia con Iva Zanicchi), "Un signore di Scandicci" ("…Gettava le castagne, gettava le castagne e mangiava i ricci, quel signore di Scandicci") ma soprattutto a "Ci vuole un fiore" (1974), scritta, guarda un po’, con un altro grande poeta e scrittore di sempre, Gianni Rodari, e nuovamente con Luis Enrique Bacalov.CI vuole un fiore
"Ci vuole un fiore" ha attraversato tre generazioni. Oltre a essere un autentico manifesto di pace, educazione e rispetto per l’ambiente, è, tra le altre cose, una delle prime canzoni che mia figlia ha imparato alla scuola materna, ma già mia mamma (sua nonna) gliela cantava a mo’ di ninna nanna. Per chi non l’ha mai sentita, si tratta di una specie di filastrocca che cela un sillogismo aristotelico dello stesso peso di un aforisma ghandiano. Anche la musica sa di "giro giro tondo", nella sua, direi geniale, semplicità. Altro che "poeta triste" come era soprannominato Endrigo per la sua "genetica" saudade. Oggi i più giovani non conoscono niente di lui e della sua arte, e forse spesso l’hanno (a torto) scambiato per una sorta di dinosauro sopravvissuto alla glaciazione.
Ma musicalmente parlando, non a tutti è dato scrivere qualcosa che ti sopravviva. Perciò, cari amici, giù il cappello…

 
DIAPASON – Rubrica di Nuovo Progetto

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok