Zio Alberto e i Balcani

Pubblicato il 02-04-2023

di Renato Bonomo

Conservo un bel ricordo di zio Alberto. Un signore anziano, con il cappello, sempre sorridente che è mancato qualche anno fa. Alberto non era mio zio, lo era di una mia cara amica. Per tutti però era semplicemente “zio” Alberto. Amava i libri, era sempre sorridente e disponibile, curioso e interessato, leggero e mai sopra le righe.

A volte partiva con la sua utilitaria senza avvertire i parenti. In macchina andava piano ed evitava accuratamente le autostrade perché non si sentiva sicuro: così un viaggio di un centinaio di chilometri poteva durare quasi un giorno, passando per campi e strade secondarie. Le sue mete abituali erano luoghi termali, dove potersi rigenerare dai postumi della guerra, che aveva vissuto come alpino nel Regio Esercito sui fronti della ex-Jugoslavia. Zio Alberto parlava di tutto e volentieri, ma non del periodo che aveva vissuto nei Balcani. I nipoti erano riusciti a raccogliere alcune informazioni generiche e su quelle avevano provato a ricostruire la sua vicenda. Si erano convinti che avesse vissuto indicibili sofferenze, che avesse visto tragedie che ha poi preferito nascondere tra le pieghe della sua memoria. Tirarle fuori avrebbe forse riaperto delle ferite che non si erano del tutto rimarginate. Pare che abbia dovuto convivere con la morte per un periodo molto lungo, braccato, in balia degli eventi. Sicuramente patì la fame perché il suo stomaco rimase così traumatizzato da doversi sottoporre a periodici cure depurative negli anni successivi. Si sa che dopo l’8 settembre 1943 entrò in contatto con la resistenza titina e che, alla fine della guerra, riuscì a fatica a tornare in Italia.

La storia di zio Alberto si incarna in un processo storico di più ampia portata che è quello relativo alla guerra italiana nell’ex Jugoslavia. Le vicende nei Balcani di quel periodo sono piuttosto sconosciute e l’opinione pubblica ne ha una conoscenza piuttosto limitata. Proviamo a riassumere alcuni elementi.

Nel 1939, il regno di Italia occupò l’Albania che, dopo l’ingresso nella Seconda guerra mondiale (giugno 1940) divenne la testa di ponte dell’iniziativa italiana nei Balcani e – in particolare – per la conquista della Grecia (28 ottobre 1940). Il fronte balcanico rappresentava una delle vie di sviluppo – insieme alla Libia e al corno d’Africa – della cosiddetta guerra parallela che il fascismo aveva introdotto per poter controbilanciare lo strapotere tedesco e ritagliarsi delle zone di influenza nel Mediterraneo e in Africa settentrionale. Ma il famoso Spezzeremo le reni alla Grecia non ebbe effetti… anzi… L’esercito greco si difese egregiamente e costrinse le nostre truppe male armate e peggio comandate a ripiegare. È nel fango greco che nasce la leggenda della divisione alpina Julia che, dopo essere penetrata coraggiosamente nel territorio nemico, dovette arretrare perché lasciata senza rifornimenti.

Solo l’intervento nazista salvò dal disastro l’Italia (aprile 1941): da quel momento la nostra guerra parallela diventò guerra subalterna. Nel nuovo ordine balcanico anche gli Italiani furono coinvolti. Pur non raggiungendo le punte della ferocia nazista e con logiche politico-militari diverse dall’alleato tedesco, «le azioni repressive previste e realizzate dalle forze italiane non sono diverse da quelle fatte dalle truppe tedesche: […] presa di ostaggi, la distruzione e l’incendio di intere località, la rappresaglie sulle famiglie di semplici sospetti, […] la deportazione di nuclei della popolazione locale, la distruzione e il saccheggio del bestiame, l’impunità per gli eccessi compiuti» (Gianni Oliva, La guerra fascista). Vale forse riprendere in mano un documento straordinario, il diario di don Pietro Brignoli, Santa messa per i miei fucilati, che fu cappellano in Jugoslavia fino al 1942, in cui – come ricorda sempre Oliva – non emerge «nessuna distinzione tra bene e male […], con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra: la guerra è comunque ferocia, barbarie, furore, al di là dei progetti per i quali gli eserciti in campo combattono».


Renato Bonomo
NP gennaio 2023

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