Salvarsi dall’inferno

Pubblicato il 19-01-2023

di Edoardo Greppi

Il ruolo del diritto internazionale e della diplomazia per la ricerca e il mantenimento della pace

Nella prima metà del Novecento due terribili guerre mondiali (che in realtà erano incentrate su un’unica “guerra civile europea”) hanno indotto i migliori statisti del nostro continente a cercare soluzioni che permettessero il superamento di quello che Luigi Einaudi aveva chiamato «l'immondo mito dello stato sovrano».

Nell’immediato dopoguerra, dunque, ha mosso i primi passi il processo di integrazione europea. Questo, peraltro, si è collocato all’interno di una cornice più ampia: il multilateralismo istituzionalizzato. Gli Stati, protagonisti della vita di relazione internazionale, nei secoli dell’età moderna, si sono dati delle regole, il diritto internazionale. La comunità internazionale è costituita da poco meno di 200 Stati. Essi si qualificano “sovrani”, cioè indipendenti nel senso letterale del termine: non riconoscono (e, quindi, non vi “dipendono”) un’autorità superiore. Sono essi stessi a darsi le regole per la vita di relazione.

La prima esigenza che è emersa, nella storia, era conseguenza della constatazione che una pluralità di Stati significava che ciascuno di essi è portatore di interessi, e che questo può condurre a conflitti tra questi diversi interessi. Di qui, la necessità primaria di configurare il diritto internazionale come un “diritto della coesistenza”, cioè fatto di regole per dirimere le controversie, per sanare i conflitti.

A partire dalla seconda metà del XIX secolo, tuttavia, si è fatta la strada la consapevolezza che pluralità di interessi non portasse necessariamente a conflitti. Molti di questi interessi, cioè, sono palesemente comuni agli Stati. Basti pensare ai servizi postali, a radio e telecomunicazioni, al contrasto alle malattie. Nella seconda metà dell’Ottocento, gli Stati hanno quindi dato vita alle prime organizzazioni internazionali, i cui atti costitutivi sono trattati internazionali multilaterali. Il fenomeno della creazione di organizzazioni internazionali come strumento per dare vita a forme di cooperazione stabile, permanente, organica si è sviluppato poi nel XX secolo in maniera gigantesca, con una significativa accelerazione dopo la Seconda guerra mondiale. Di conseguenza, il diritto internazionale è venuto ad assumere una nuova connotazione, quella di un “diritto della cooperazione”.

Dopo la Prima guerra mondiale, gli Stati hanno costituito la Società delle Nazioni, per porre al vertice di questo “diritto della cooperazione” il più importante degli interessi comuni: la pace. Il fallimento della SdN e la successiva nuova terribile guerra mondiale, hanno indotto gli Stati a creare nel 1945 le Nazioni Unite, l’ONU, nel cui Statuto il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali è collocato al primo posto. Accanto all’ONU, sono state costituite decine di altre organizzazioni “settoriali”, affidando a ciascuna uno specifico ambito di cooperazione: l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), la salute (OMS), la navigazione aerea (ICAO), la navigazione marittima (IMO), la moneta (FMI), il lavoro (OIL, fin dal 1919), le telecomunicazioni (ITU) e così via.

Si può, quindi, affermare che la seconda metà del XX secolo e gli inizi del XXI sono stati caratterizzati dal proliferare di grandi organizzazioni internazionali “a vocazione universale”, aperte cioè a tutti gli Stati del mondo. Accanto a queste (ormai numerosissime) sono state istituite importanti organizzazioni “regionali”, come il Consiglio d’Europa (46 Stati membri), l’Unione Europea (27), la NATO (30), l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (57), l’Organizzazione degli Stati americani (35), l’Unione africana (55), e molte altre.

Il multilateralismo istituzionalizzato è diventato il metodo scelto dagli Stati per regolare la loro vita di relazione, con principi e norme condivisi. Il metodo è incentrato su forme di diplomazia multilaterale permanente, “organizzata”. Ogni giorno, tutto il giorno, decine di migliaia di funzionari internazionali e di diplomatici lavorano fianco a fianco negli enormi palazzi, sedi di queste organizzazioni (a Ginevra, New York, Vienna, Roma, Strasburgo, Bruxelles…). Si tratta del più straordinario passo in avanti nella dinamica delle relazioni tra Stati, che hanno affidato il perseguimento di interessi comuni e la soluzione dei problemi al metodo multilaterale, alla diplomazia, al dialogo, al negoziato, alla ricerca di soluzioni comuni e di scelte condivise.

Oggi il multilateralismo è sotto attacco. Durante la sua presidenza, volgare e prepotente, Donald Trump ha duramente attaccato le organizzazioni internazionali, l’ONU in primis, virando decisamente verso un ritorno alla diplomazia bilaterale, più consona a un politico i cui riferimenti “culturali” sono sicuramente più a Las Vegas che a Harvard. Ma non è il solo. Nel nostro continente crescono partiti populisti che si dichiarano “sovranisti”. Il cosiddetto “sovranismo” maschera sostanzialmente pulsioni nazionaliste. Lo spettro del nazionalismo aleggia e minaccia la pace internazionale e le aspirazioni di fondarla sul primato del diritto, sulla democrazia, sui diritti e le libertà fondamentali della persona umana.

Con tutti i limiti e i problemi che lo accompagnano, il multilateralismo non ha alternative. Nella costituzione dell’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’istruzione, la scienza e la cultura, si legge che: «Poiché le guerre hanno origine nello spirito degli uomini è nello spirito degli uomini che si debbono innalzare le difese della pace», e il metodo scelto per farlo è quello della cooperazione multilaterale. Come disse il grande Dag Hammarskjöld, caduto in servizio come Segretario Generale delle Nazioni Unite, «l’ONU non è stata creata per portare l’umanità in paradiso, ma per salvarla dall’inferno».

Edoardo Greppi
NP Novembre 2022

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