Laggiù si muore

Pubblicato il 10-03-2024

di Edoardo Greppi

Il 29 dicembre 2023 la Repubblica del Sudafrica ha presentato un ricorso alla Corte internazionale di giustizia contro lo Stato di Israele concernente «atti minacciati, adottati, condonati, intrapresi o in corso di attuazione dal governo e dalle forze armate dello Stato di Israele contro il popolo palestinese, un gruppo nazionale razziale ed etnico distinto, a seguito degli attacchi in Israele del 7 ottobre 2023». Il Sudafrica dichiara di condannare «senza equivoci, tutte le violazioni del diritto internazionale da tutte le parti, compresi gli attacchi diretti contro civili israeliani e di altre nazionalità e la presa di ostaggi da parte di Hamas e di altri gruppi palestinesi». Per spiegare il suo ricorso, il Sudafrica afferma che «nessun attacco armato al territorio di uno Stato, per quanto grave – anche se comportante crimini atroci – può tuttavia offrire giustificazioni per infrazioni della convenzione del 1948 sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio». Nel ricorso, il Sudafrica ritiene che «gli atti e le omissioni di Israele sono genocidarie, in quanto intese alla distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese», quella nella Striscia di Gaza. Le fattispecie indicate sono uccisioni di palestinesi, il causare danni fisici e mentali gravi e l’infliggere condizioni di vita che portano alla distruzione del gruppo. Infine, il governo sudafricano ritiene che Israele non rispetti i suoi obblighi di prevenzione, venendo meno, tra le altre cose, al dovere di punire i diretti e pubblici incitamenti al genocidio da parte di alti dirigenti israeliani, «in palese violazione della convenzione».

La Corte internazionale di giustizia, che ha sede all’Aja, è il massimo organo giudiziario dell’ONU, chiamato a dirimere le controversie tra Stati. Composta da 15 giudici di nazionalità diversa e rispecchianti i principali sistemi giuridici del mondo, pronuncia sentenze che gli Stati si impegnano a rispettare. In linea generale, la Corte non ha una giurisdizione obbligatoria. Gli Stati, cioè, non sono obbligati ad accettarla. Possono, però, dichiarare di accettarla prima del sorgere di una controversia oppure dopo che questa è sorta. Vi sono alcuni trattati (non molti, in verità) che prevedono la possibilità per gli Stati che ne siano parte di ricorrere alla Corte per questioni che riguardino l’applicazione o l’interpretazione di essi. La convenzione del 9 dicembre 1948 sul genocidio (significativamente adottata il giorno precedente la Dichiarazione universale dei diritti umani) è uno di questi, e il Sudafrica si è avvalso di questa possibilità.

L’11 e il 12 gennaio scorsi si sono tenute – nel Palazzo della Pace all’Aja – le prime due udienze della Corte, che hanno consentito al governo sudafricano di presentare i motivi del ricorso e le richieste, e a quello israeliano di replicare, facendo leva sul proprio diritto alla legittima difesa e richiamando, in numerose occasioni, gli orrendi crimini commessi da Hamas il 7 ottobre.

Il ricorso del Sudafrica è un testo di 84 pagine, e una sintesi adeguata è ovviamente impossibile. In pratica, la Corte è chiamata a pronunciarsi su due elementi essenziali (corredati ciascuno da numerosi riferimenti e aspetti). Dovrà pronunciarsi sul merito, cioè se quanto sta avvenendo in questi terribili mesi a Gaza sia giuridicamente qualificabili come genocidio, un crimine che gli Stati si sono impegnati a prevenire e a reprimere. Appare qui evidente che un conto sarebbe l’eventuale conclusione della Corte che si tratti davvero di un genocidio, frutto dell’intenzione – elemento imprescindibile nella qualificazione di quello che è stato definito «il crimine dei crimini» – di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, razziale o etnico (il ricorso lo qualifica come tutti e tre), mentre altro sarebbe puntare l’attenzione sugli obblighi di prevenzione. Per questo il ricorso sudafricano ha chiesto anche alla Corte misure provvisorie, cautelari, prima di affrontare la questione nel merito. In particolare, si chiede alla Corte la sospensione delle ostilità «dentro e contro Gaza». Inoltre, in conformità con gli obblighi della convenzione, Sudafrica e Israele devono «adottare ogni misura ragionevole in loro potere per prevenire il genocidio», e Israele dovrebbe desistere dalla commissione degli atti vietati dalla convenzione. Infine, si chiede alla Corte di esigere che Israele compia tutti gli atti necessari per la protezione, l’assistenza alla popolazione palestinese e l’afflusso di aiuti umanitari.

Per quanto riguarda la questione del merito – cioè se si tratti del crimine di genocidio – è prevedibile che occorra attendere anni la sentenza della Corte. La Corte in passato è stata molto cauta, perché non è facile dimostrare l’esistenza dell’elemento soggettivo dell’intenzione di distruggere il gruppo. Per la facilità di portare all’Aja accuse di genocidio, data la clausola presente all’interno della convenzione del ’48, gli Stati ne fanno talora un uso politico. Una causa è pendente davanti alla Corte tra Ucraina e Russia, e in passato ci sono state quelle della Bosnia e della Croazia contro la Serbia. Il 26 gennaio la Corte ha emesso la decisione sulle misure provvisorie. Non ha chiesto la sospensione delle ostilità, ma che Israele adotti tutte le misure in suo potere per prevenire la commissione di atti di genocidio (uccisioni di membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali; infliggere deliberatamente condizioni di vita che portino alla distruzione del gruppo; imporre misure che limitino le nascite), e che prevenga e punisca l’incitamento a commettere genocidio. Da ultimo, Israele deve adottare immediatamente misure per consentire le forniture di servizi essenziali e assistenza umanitaria alla popolazione palestinese. Entro un mese Israele dovrà fare rapporto alla Corte su quanto ha fatto per dare esecuzione all’ordinanza.
E intanto?
Laggiù si continua a morire.


Edoardo Greppi
NP febbraio 2024

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