Nella notte di Palermo

Pubblicato il 13-11-2020

di Renzo Agasso

Si chiamava Carlo Alberto dalla Chiesa (foto), ed era generale dei carabinieri. Aveva fermato il macello del terrorismo rosso-nero degli anni Settanta. Lo mandarono a Palermo da prefetto, per provarci con la mafia. Non ne ebbe il tempo.
Gli uomini del disonore lo ammazzarono pochi mesi dopo il suo arrivo, una manciata di giorni sufficienti a dimostrare di che pasta fosse. Meglio fermarlo subito, prima che faccia davvero la lotta alla mafia, devono aver pensato i padrini. Girava in città senza scorta. Lo hanno atteso una sera che andava al ristorante su una piccola utilitaria anonima, facendone scempio. Era il 3 settembre 1982. Con lui caddero un agente che lo seguiva in auto e sua moglie.

Si chiamava Emanuela Setti Carraro, aveva sposato pochi mesi prima il generale e aveva subito voluto seguirlo a Palermo, consapevole dei rischi. Un amore inatteso, sbocciato in ambiente militare: Emanuela è crocerossina, partecipa a manifestazioni pubbliche in divisa, lì conosce il generale, più anziano di lei, vedovo della prima moglie Dora, padre di tre figli grandi. I comuni ideali di giustizia, servizio, disciplina, amor di Dio e amor di patria li uniscono in un rapporto di amore e rispetto, fedeltà e coerenza ai valori condivisi. Si sposano in fretta, come sapessero di avere così poco tempo.

Muoiono entrambi, abbracciati, in quell’utilitaria bianca nella notte afosa di Palermo, di questa città meravigliosa e feroce che ammazza i galantuomini e, ormai, non risparmia donne e bambini. Teneva un diario prezioso, Emanuela Setti Carraro. Vi scriveva: «Dice santa Caterina: “se ciascuno di noi desse il massimo di se stesso potremmo mettere a fuoco l’Italia”». E poi: «Diceva santa Caterina: “tenete in alto il cuor vostro e fate che sia come lampada che arda”». Se fossi vissuta anch’io nel Trecento sarei andata con lei ad Avignone, ma ora contro questo Stato anche santa Caterina cosa potrebbe fare? Ci sarebbe tanto bisogno di una testimonianza, di una santa e di un olocausto. Forse allora le cose cambierebbero».

Ancora, dopo l’adunata degli alpini a Genova: «Abbiamo visto finalmente il generale dalla Chiesa. Gli ho regalato un garofano rosso e lui mi ha scritto la sua firma sul retro del suo biglietto d’invito. Chissà cosa voleva dire». Testimonianza, santità, olocausto, mettere a fuoco l’Italia. La notte di Palermo parrebbe inghiottire tutto. Invece no. Ancora oggi Carlo Alberto ed Emanuela brillano, “come lampada che arda”.

Renzo Agasso
NP ottobre 2020

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