C’era una volta

Pubblicato il 15-12-2022

di Corrado Avagnina

Per un’evenienza abbastanza fortuita, mi sono ritrovato a condividere un momento di preghiera attorno ad un pilone, all’interno di un contesto naturalistico suggestivo, ancorché aspro, nelle Langhe del profondo sud del Piemonte, per altro in una giornata di sole dall’eccezionale chiarore. E si era abbastanza numerosi. L’occasione era quella di ricordare la ricostruzione di questo pilone, che un padre di famiglia della vicina borgata aveva intrapreso ancora in tempo di guerra, appena erano tornati casa, sani e salvi, tre dei suoi figli finiti su più fronti e poi anche abbandonati nelle traversie del dopo l'8 settembre ’43. Aveva promesso che, se fossero rientrati tutti, avrebbe posto mano al pilone in segno di riconoscenza e testimonianza.

Ma ora, a distanza di oltre settantacinque anni, ecco i ragionamenti a margine da parte di chi ha tuttora i capelli bianchi e grigi: «Certo, allora si era ben convinti, nell’affidarsi al Signore. Oggi siamo un po’ tutti defilati, dentro una confusione spiazzante e disorientante. Anche se poi abbiamo queste occasioni in cui ritrovarci, aggrappati con un filo sempre più sottile ad una fede religiosa che si sfilaccia senza sosta».

E sì, il quadro appare in chiaroscuro. Dopo la pandemia, qualche sussulto di partecipazione ha rifatto capolino, all’interno delle ricorrenze cristiane, magari in occasioni appunto un po’ speciali, fuori porta. Non riuscendo però a rendersi conto se il richiamo venga da tracce di tradizione ancora radicata ma poco nitida, o se ci sia dietro una fede che si fa robusta e torna a riemergere con convinzione. E qui si finisce dentro le maglie di una stagione da decifrare che vede le giovani generazioni porre questioni nodali sul terreno della fede, che non le raggiunge più in profondità, restando ai margini dell’esperienza religiosa, non prendendola più in considerazione come un percorso di vita, gestendosi invece l’esistenza altrimenti, a prescindere. Insomma l’impressione sembra essere quella di uno scenario punteggiato di interrogativi, tra ciò che resta, ciò che manca, ciò che è altalenante, ciò che è pasticciato, ciò che si spera.

E sono sessant’anni dall’apertura del Concilio, un arco di tempo a zig zag anche per la Chiesa, interpellata su più fronti ed oggi, in occidente, pressata dall’indifferenza che dilaga. C’è da interrogarsi su quanto e come può essere parlante e testimoniante la comunità dei credenti, in quell’emblematica immagine cara a papa Francesco di “ospedale da campo”, in cui far toccare con mano la speranza che non delude e che si fa carico. «Perché la bellezza umana “dell’essere cristiani” non attrae?». «Che vuol dire essere cristiano oggi?». «Cosa mi chiede la Chiesa di essere?», si interrogava settimane fa il card. Zuppi intervistato da L’Osservatore Romano. Già, resta decisivo dare corpo al «profilo attuale del cristiano, cioè dell’uomo evangelico, che è quello di sempre ma che deve parlare all’uomo di oggi». È la sfida che non va scansata.

Corrado Avagnina

NP Ottobre 2022

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