Arrivati da ieri

Pubblicato il 16-04-2022

di Francesca Fabi

2 agosto 1983. I ruderi del vecchio arsenale militare di Torino in apparenza non hanno più nulla da dire. Un cortile immenso diroccato, ragnatele che hanno avvolto le pareti, il pavimento dissestato.
Ci sono oggetti, armi arrugginite, i resti delle lavorazioni di un tempo.
E un silenzio ovattato che si porta dietro tutto il dolore di un secolo: la storia di milioni di morti causati anche da quelle armi, le lacrime di chi ha perso un figlio, un marito, un fratello, i sogni di vite che avrebbero potuto fiorire e che invece sono state condannate per sempre a non esprimersi.

Ernesto Olivero e i suoi amici entrarono così in una storia più grande di loro. Con il germoglio di un ideale che presto avrebbe portato frutto nei tanti rivoli ed esperienze dell'Arsenale della Pace. Entrarono con l'entusiasmo dei vent'anni, ma anche con la consapevolezza di chi vuole scrivere una pagina nuova senza cancellare quello che è stato.
Oggi l'Arsenale è uno di quei luoghi metafora che si mostrano a chi li vuole guardare: il segno delle trasformazioni possibili, delle riconversioni su cui nessuno all'inizio sarebbe pronto a scommettere, di tante vite pronte a cambiare con un metodo e anche con una severità. Ma c'è qualcosa di più: è l'impronta di un passato ormai trasfigurato che rimane come monito e testimonianza, che fa della memoria la chiave per vivere in modo diverso il presente e il futuro. L'architettura, gli oggetti, gli spazi: tutto richiama la realtà della vecchia fabbrica, non come un museo, ma come segno di cambiamento.
L'immagine più iconica è il vecchio forno per le munizioni diventato oggi un tabernacolo. Quando lo si guarda, si coglie subito la sua nuova dimensione.
Eppure, il passato è lì a dare valore all'oggi, a commuovere, a tenere accesa la speranza.

È la stessa sensazione che si prova varcando le porte dell'Arsenale della Speranza di San Paolo del Brasile, anche questo un luogo carico di storia. Era la vecchia Hospedaria de Imigrantes, la casa di quarantena da cui passarono milioni di immigrati, tra cui almeno un milione di italiani: storie di miseria alle spalle, nostalgie profonde, desideri di riscatto. Il mare di umanità su cui è stata intessuta la società brasiliana.
Anche in questo caso, nessun maquillage. L'Arsenale oggi accoglie uomini di strada, ma il passato rimane, alcuni ambienti come la grande mensa vengono ancora usati.
Ma tutto è sotto una nuova luce, una prospettiva diversa che guarda avanti, avendo ben presente il punto di partenza.

Ha scritto Ernesto Olivero: «Con i miei amici abbiamo scelto di spendere la vita in Brasile per restituire dignità a tutte quelle persone che l'hanno persa per errori personali o per la storia da cui provengono. Oggi il luogo in cui mi si gonfiò il cuore non è più una casa di quarantena, ma una casa che accoglie. Vogliamo tutti un mondo migliore e abbiamo capito che la recriminazione non basta per costruirlo e nemmeno la commozione. Bisogna alzarci e iniziare a camminare.
Da molti anni stiamo cercando di vivere questo amore, questo respiro.
L'Arsenale è diventato un piccolo villaggio che vuole dare a tutti l'opportunità di imparare a vivere con dignità e che ha il grande desiderio che nel resto del Paese e del mondo accada la stessa cosa».

Tutto possibile grazie anche alla lezione che arriva dalla memoria.
Ma se i luoghi hanno questo potere di cambiamento, a maggior ragione lo hanno la storia delle persone. Gli Arsenali ne sono la prova, perché hanno cambiato aspetto e vocazione attraverso il cambiamento personale di chi li abitava. Ex terroristi, persone ferite dalla vita, carcerati, giovani in difficoltà, persone senza fatiche particolari: tutti insieme per fare anche del proprio passato una strada per altri, un'opportunità, un'occasione di saggezza.
Per realizzare insieme cose grandi e continuare a trasfigurare la realtà, senza mai negarla. Perché, come ha scritto una volta Ernesto,«è possibile vedere gli occhi di un bambino e il suo grande sogno senza spegnerlo.
È possibile non rimpiangere i bei tempi e invecchiare senza mollare mai. È possibile avere grandi responsabilità e servire.
È possibile cambiare vita se ho sbagliato. È possibile cambiare il mondo nonostante la paura e gli errori.
È possibile sentire l'urlo di chi piange e il silenzio di chi implora.
È possibile cogliere una lacrima non ancora pianta o un dramma nascosto. È possibile vedere il sole anche quando non c'è, le stelle non ancora spuntate.
È possibile non avere paura.
Nemmeno del fango, perché dal fango può nascere e rinascere sempre un uomo».


Francesca Fabi
Focus

NP gennaio 2022

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