Laurea honoris causa in amore

Pubblicato il 26-01-2021

di dom Luciano Mendes de Almeida

Una mattina presto, a metà anni novanta, nella piazza di São Jose do Belém vidi molta gente riunita e nervosa. Mi avvicinai, c’era un uomo coricato su una panca di pietra. Chiesi cosa stava accadendo e mi fu risposto: è morto! Di cosa? Fame, freddo! Era morto di fame e di freddo in una piazza di San Paolo del Brasile, una metropoli tra le più grandi al mondo. C’era una popolazione nascosta, invisibile, che camminava ogni giorno e ogni notte per le piazze e per le strade alla ricerca di un riparo e di un po’ di cibo. Il numero di persone era così alto che le risposte esistenti non bastavano. Quella morte ci scosse profondamente. Dom Paulo Evaristo Arns, allora arcivescovo di San Paolo, chiese aiuto e consiglio a noi vescovi e alle autorità civili. Quando dom Paulo ricevette la proposta, da parte del governo dello Stato, di prendere in gestione il grande spazio dell’antica Hospedaria dos Imigrantes, il Dais, chiedemmo ad Ernesto se era disponibile a trasformare il Dais in una casa in grado di accogliere; conoscevamo la sua opera di trasformazione dell’Arsenale della Pace di Torino e avevamo già sperimentato la passione e serietà del suo impegno in Brasile. Accettò, forse non sapendo neppure bene quello che stava accettando. Da lì, con molto coraggio e grande abbandono, prese vita l’Arsenale della Speranza.

L’11 marzo 2006 si è svolta una grande festa per celebrare i primi dieci anni di vita di quest’opera; un lavoro costruito giorno dopo giorno, volto a riscattare la storia di quell’uomo morto per la fame e il freddo e delle decine di migliaia di persone passate da questa casa ricevendo ristoro e speranza. Solo Dio conosce tutto il bene che è stato fatto a tantissimi fratelli e sorelle, che hanno ricevuto e ricevono l’espressione della bontà deposta dal Signore nel cuore dei giovani della Fraternità della Speranza.

Arrivando all’Arsenale della Speranza per partecipare alla festa, ho incontrato un signore buono, povero, pieno di riconoscenza, che mi ha detto con tanta gioia da commuovermi: “Anche lei viene per la festa! Che bello! Questa casa è una meraviglia, una grande meraviglia di Dio!”. È a Dio che dobbiamo innalzare i cuori per ringraziarlo, perché Lui è buono e ci dà la grazia di vivere un po’ della gioia di essere buoni e fare del bene. Niente ci rallegra tanto quanto il poter aiutare gli altri che hanno fame di pane e di amore.

 

Tante altre sono state le dimostrazioni d’affetto e le parole di stima, quel giorno.

Dom Claudio Hummes, Cardinale arcivescovo di San Paolo, ricollegandosi all’Enciclica di Benedetto XVI, Dio è Amore, ha sottolineato come “questa casa si impegna a realizzare ogni giorno quanto il Papa ricorda a ciascuno di noi: siamo chiamati ad amare l’altro, gratuitamente, chiunque esso sia”.

Significativo anche quanto detto dal vice governatore dello Stato di San Paolo, prof. Claudio Lembo, intervenuto in rappresentanza del governatore Geraldo Alckmin: “Questo luogo, per noi paulisti e brasiliani, è un simbolo di pace e di speranza: da qui sono passati milioni di emigranti che poi hanno fatto il Brasile, persone che hanno combattuto per una speranza. Continuiamo a lottare e a lavorare insieme: ad onor del vero questa non è un’opera appoggiata dal governo, bensì è il governo che cerca appoggio in questa opera, per realizzare quella pace e quella speranza che qui si respirano”.

Ma le parole più applaudite sono state quelle messe in rima da uno degli ospiti, a nome di tutti: “L’Arsenale ci protegge e ci invita a credere che per tutti c’è ancora la possibilità di camminare, di sognare, di cambiare, di scegliere la bontà che disarma il male e la violenza...”. Una violenza che fa ancora molto rumore, qui e in tanti altri luoghi del mondo ma che, ad ogni latitudine, può essere disarmata da quella bontà di cui il mondo ha fame. Una bontà che viene da Dio, disposta a ricominciare sempre, solida come il muro A bondade desarma inaugurato in occasione del decimo anniversario dell’Arsenale.

Quando poi Ernesto è stato invitato a dire il suo pensiero, lo hanno proclamato “Dottore”. Bellissimo. Ho capito che in mezzo ai tanti titoli che ha, c’era da includere questo nuovo e meritato riconoscimento: “Dottore honoris causa in amore”.

 

Dom Luciano

dal libro "Due amici"

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