Per non dimenticare Assisi

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


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Sotto la tenda che ricopre la piazza inferiore non ci sono simboli religiosi, c’è solo un ulivo, che tutti li riassume e li rappresenta. Pregare non vuol dire evadere dalla storia, dice il papa. È invece il modo più efficace di opporsi ai conflitti, perché nella preghiera non si è soli, ma si possiede la forza che viene dall’alto. Le religioni devono riscoprire il proprio ruolo e fare chiarezza. Ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda.

Agensir
È più importante la terra o la vita delle persone chiede il rabbino Israel Singer. Il musulmano Sheik Abdel Salam Abushukhaidem proclama: Noi ci impegniamo a dialogare, con sincerità e pazienza, non considerando quanto ci differenzia come un muro invalicabile, ma al contrario riconoscendo che il confronto con l’altrui diversità può diventare occasione di migliore comprensione reciproca.
I rappresentanti delle Chiese cristiane avvertono il disagio della divisione. L’inviato dell’arcivescovo di Canterbury dice: Riconosciamo che non ci siamo compresi e che ci siamo feriti l’un l’altro; perciò dobbiamo costruire la nostra pace sul bisogno di accogliere il perdono e di offrirlo. Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I avverte: Per avere la pace nel mondo bisogna essere in pace con Dio e quindi con noi stessi e tra di noi.

Il buddista Geshe Tashi Tsering, inviato personale del Dalai Lama, intona una dolce melodia le cui parole sono traducibili così: Possa io divenire in ogni momento, ora e sempre, un protettore di quanti sono senza protezione, una guida per coloro che hanno perso la via, una nave per quanti devono solcare gli oceani, un ponte per coloro che devono attraversare i fiumi, un santuario per quanti sono in pericolo, un rifugio per quanti hanno bisogno di riparo, un servo per quanti sono nella necessità.
Il venerabile Chang Gyon Choi, veste bianca e copricapo nero, a nome dei confuciani ricorda che nessuno può essere felice da solo.
Nella piazza risuonano e si intrecciano le lingue più diverse: arabo, russo, greco, punjabi, serbo, coreano, farsi, giapponese, ebraico. Le ultime parole spettano al papa e sono un grido: Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo! In nome di Dio, ogni religione porti sulla terra giustizia e pace, perdono e vita, amore!.
Giovanni Paolo II va lentamente verso il tripode posto davanti al palco e vi colloca una lampada votiva accesa, poi tutti i rappresentanti delle diverse religioni fanno lo stesso. La schola del sacro convento intona il Cantico delle creature. Fra le tante televisioni presenti c’è Al Jazeera che manda in diretta le immagini della cerimonia nei Paesi arabi. Su Assisi cade una pioggia sottile.

24 gennaio 2002. Tre anni fa. O tre secoli fa? Che cosa resta di quel giorno? Tre anni dopo, guerra e terrorismo hanno fatto tante altre vittime. Il papa, sempre più vecchio, sempre più stanco, sembra anche molto più solo. Quei suoi tre “mai” non sono stati ascoltati. Al terrorismo si è risposto con le armi, e alle armi si è risposto con altro terrorismo. La spirale perversa non è stata ancora spezzata.
Eppure qualche timido segnale di speranza, come in Terra Santa con le elezioni palestinesi, c’è. Tre anni dopo, il papa ci dice di non lasciarci vincere dal male, ma di vincere il male con il bene. È l’insegnamento di san Paolo. Se noi cattolici per primi riuscissimo a essere noi stessi la pace avrebbe già fatto un bel progresso. Ecco perché è importante non dimenticare Assisi.

Agensir
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