Il Padre che libera

Pubblicato il 29-10-2017

di Flaminia Morandi

Flaminia Morandi - MINIMAdi Flaminia Morandi - Dove lo trovo un padre spirituale? Uno, l’avrei identificato. Ma ha troppo da fare, o una conferenza, o gli esercizi. Per avere un appuntamento bisogna aspettare mesi, neanche fosse Junker. E io ne ho bisogno subito.

Quante scuse troviamo per non prenderci la responsabilità della nostra vita! I Padri della fede non hanno avuto padri spirituali: Abramo, Isacco, Giacobbe, Isaia, Geremia, Ezechiele… Troppo lontani? Pensiamo a Paissy Velichkovsky, XVIII secolo. Lontano anche lui? Pensiamo allora a Matta el Meskin, morto nel giugno del 2006. Un nostro contemporaneo, copto. Eccolo: «Ho cominciato da solo. Mi sono chiesto: come potrò donare tutta la mia vita al Signore in questi pochi anni che ho da vivere? ». Aveva 28 anni! Da 4 era laureato in farmacia all’università del Cairo, aveva appena venduto due farmacie di sua proprietà per andare in un monastero malmesso in un deserto del medio Egitto. Continua: «Allora ho tentato, nella preghiera e con molte lacrime, di capire questi uomini dell’Antico Testamento e poco alla volta mi sono diventati familiari… Come essi hanno vissuto la loro relazione con Dio, così anch’io oggi… Giorno e notte ho letto la Bibbia affinché divenisse la mia propria carne e il mio sangue. Poi sono passato al Nuovo Testamento… Antico e Nuovo Testamento mi collegano a Dio: la mia vita, il mio pensare, il mio amare non è altro che la Sacra Scrittura…». E ancora: la Scrittura è «diventata per me un padre, una guida, un maestro, un chirurgo che incideva con il bisturi. Sì la Scrittura è un’arma a doppio taglio che penetra ed estirpa i tumori, le masse tumorali menzognere che portano alla perdizione».

Eh già! Ma il difficile è mettersi a leggerla, la Sacra Scrittura! Il difficile è insistere! Il difficile è andare avanti quando non si capisce niente! E allora? All’inizio c’è bisogno del farsi violenza di una fatica (ğihād): una lotta contro se stessi finché «non appaiono dall’alto le nubi celesti e le piogge della grazia». Perché «tu non sei responsabile della riuscita, però sei responsabile dello sforzo». Così comincia la vera relazione: non con “un” padre che dà dipendenza, ma con il Padre che libera.

Ma come, come cominciare? Anche un giovane monaco aveva fatto a Matta questa domanda. Allora lui aveva preso la Bibbia, si era alzato con gli occhi al cielo e aveva letto il primo versetto della Lettera agli Efesini. Aveva ripetuto due volte ogni parola poi aveva riletto tutto daccapo. Era passato al versetto seguente, l’aveva canticchiato, ripetuto a bassa voce, alzando le mani, prosternandosi, piangendo. E così, fino alla fine del capitolo. Si era completamente dimenticato della presenza del giovane accanto a lui. Oggi Deir Abu Maqar, il monastero ricostruito da Matta in pieno deserto, è un giardino di campi, orti, frutteti e pascoli, mille ettari bonificati e centinaia di monaci.

Flaminia Morandi
MINIMA
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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