BELLA FORZA!

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

ragazzo.jpg È carattere! È fatto così, non ci si può far niente. È come suo padre, sua madre, suo nonno. Va preso così com’è. Tanto non si cambia!
E la mannaia del senso comune scende sulla nostra testa con la sua visione di un mondo governato dalla necessità, di una genetica familiare che pesa come piombo. Se abbiamo un cattivo carattere, non c’è che tenerselo, noi e gli altri che hanno la sfortuna di starci accanto. Ma è così?

Un carattere è come un’impronta digitale; due uguali non se ne trovano. Il carattere, buono o cattivo che sia, è la nostra personalissima maniera di combinare insieme le facoltà irrazionali, quelle che gli antichi greci chiamavano thumos ed epithumia, e la facoltà razionale, il nous. Il thumos è un’energia che può diventare coraggio o prepotenza, l’epithumia è desiderio oppure avidità, il nous può essere il luogo di Dio o il luogo dell’ego smisurato.

In un bambino le pulsioni irrazionali emergono con evidenza, non mediate dalla ragione o mascherate dall’ipocrisia. Basta osservare dei bambini piccoli che giocano. Pietro, tre anni, è fiero di un giocattolo nuovo. Giovanni, stessa età, lo vuole per sé, glielo strappa di mano; Pietro difende ciò che ritiene solo suo, aggredisce, picchia, morde. Giovanni piange, Pietro strilla, si buttano uno contro l’altro con pessime intenzioni. In casi come questo gli psicologi dell’infanzia raccomandano di distrarre i contendenti, allontanarli e rassicurarli finché non si sono calmati, abbracciandoli: perché i primi ad essere sconvolti dalla violenza delle loro passioni sono proprio loro, i bambini. Si scoprono abitati da forze telluriche, anche se sono nati in famiglie tranquille che li amano e li rispettano.

candela.jpgNel loro comportamento c’è il circolo vizioso delle nostre passioni adulte: la vanagloria dell’esibire, l’egocentrismo che genera avidità, l’avidità che genera l’avarizia, che scatena la tristezza e l’invidia per chi possiede, e da qui l’ira, contro chi minaccia i miei beni o si impadronisce di quello che io volevo per me. Solo accaparrando tutto il possibile infatti mi sembra di far tacere, almeno per un attimo, la paura della mia impotenza.

Essere uomo o donna adulti significa avere imparato a trasformare le passioni in virtù. La parola latina virtus viene da vir, uomo: essere vir, adulto, significa essere virtuoso. Un adulto dominato dalle passioni è perciò un mostro, è un bambino dentro il corpo di un uomo. E le virtù non si teorizzano, si praticano. Solo l’abitudine fa tornare al bene. Solo insistendo si può sperimentare che nel cuore, al di là del fracasso delle passioni, c’è una zona di pace, abitata da un Amico potente che ci aiuta a cambiare, in barba alla genetica e al senso comune.

La vita, dice san Benedetto, è il tempo che ci viene dato per trasformare l’energia di un cattivo carattere in energia creativa. E sant’Ignazio aggiunge che spesso Dio ci chiama attraverso il nostro peggiore difetto, e proprio con quello ci chiede di collaborare con Lui per compiere un bene che solo noi possiamo fare, nel mondo e nella storia. Con il suo aiuto, la nostra debolezza diventa virtù, anzi la nostra forza, quella che ci permetterà di realizzare la nostra vita. Perciò la pedagogia cristiana non si stanca mai di educare, di insegnare la disciplina anche attraverso la durezza e la fatica. Senza fatica non viene niente. Diceva una madre del deserto, ammà Sincletica: chi vuole accendere un fuoco, all’inizio lacrima e tossisce per il fumo, ma poi ottiene una bella fiamma tranquilla. Dio è un fuoco che consuma, ma si accende solo con sforzo e lacrime.


Flaminia Morandi
NP agosto/settembre 2007

 

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