Yemen dimenticato

Pubblicato il 08-08-2021

di Nello Scavo

Ci sono stragi di cui quasi mai si viene a sapere. Come nelle acque che separano lo Yemen dal Corno d’Africa. La rotta dal Corno d’Africa verso il Golfo di Aden resta tra le più pericolose al mondo. Il monopolio è nelle mani delle organizzazioni della pirateria somala, specializzata anche nel contrabbando e nel traffico di esseri umani. Storicamente la gran parte dei migranti africani che raggiungevano lo Yemen si spostavano nel resto della penisola arabica, in gran parte a ingrossare le fila dei nuovi schiavi nelle monarchie petrolifere. A causa del conflitto yemenita l’attraversamento del Paese si è fatto talmente pericoloso che, secondo fonti delle Nazioni Unite, negli ultimi anni oltre 100mila africani sono tornati nel Corno d’Africa per dirigersi a Nord, specialmente verso la Libia e l’Europa.
È una guerra dimenticata, quella yemenita. Un conflitto che vede l’Italia tra i principali esportatori di morte. Era la fine del 2016 quando, quasi per caso, scoprimmo in una inchiesta per Avvenire che sulle teste dei civili piovevano ordigni "Made in Italy".

Alcuni superstiti erano riusciti a fotografare i resti di una bomba sganciata da un aereo della coalizione saudita che combatte contro i ribelli Houti, sostenuti dall’Iran. Un gruppo di esperti incaricati dall’Onu di indagare sulle violazioni commesse dalle parti in conflitto aveva certificato l’uso delle bombe della Rwm Italia, consociata alla casa madre tedesca Rwm, sulle aree civili, affermando che questi raid «possono costituire crimini di guerra».
Un anno fa il governo Conte II ha sospeso le esportazioni. Una misura tardiva, considerando che l’approvvigionamento dei sauditi consente di armare i caccia ancora per molti anni.

A pagare le conseguenze più gravi sono i più piccoli. Negli ultimi tre anni, in Yemen, tra le vittime civili 1 su 4 era un bambino: 2.341 minori (il 22,85% del totale) che hanno perso la vita tra il 2018 e il 2020 a causa di un conflitto che, il 25 marzo, segna il suo sesto anniversario. Le 2.341 vittime tra i bambini sono solo quelle confermate, spiega Save The Children, secondo la quale è probabile che il numero effettivo sia molto più alto. I dati, inoltre, mostrano che il conflitto sta diventando sempre più letale per i bambini: se nel 2018 i minori rappresentano una vittima su cinque tra i civili, nel 2019 e nel 2020 il rapporto è salito a 1 su 4. Secondo dati di Save The Children in Yemen, la cui popolazione sta affrontando la più grande crisi umanitaria al mondo, 2 persone su 3 hanno urgente bisogno di aiuto per sopravvivere e i bambini continuano a morire a migliaia, oltre che per le bombe, per cause facilmente prevenibili. Attualmente, nel Paese, 11,3 milioni di bambine e bambini necessitano assistenza umanitaria.

Uno scenario ulteriormente inasprito dalla carestia, aggravata dai tagli agli aiuti recentemente annunciati, dalle restrizioni di lunga data all'accesso umanitario, al collasso economico, dagli attacchi alle infrastrutture civili come scuole e ospedali e ai combattimenti in corso nelle aree densamente popolate. 1,8 milioni di bambini sotto i 5 anni di età, spiega Save the Children, risultano attualmente malnutriti, tra i quali circa 400mila affetti da gravi forme di malnutrizione.
«Stavo tornando a casa con un amico e volevo andare a trovare mio fratello quando l’esplosione ci ha travolti. Sono rimasto immobile. Cercavo mio fratello, ho visto un uomo anziano a terra. Poi una persona in moto mi ha portato via da lì e siamo andati in ospedale. Io vorrei solo pensare a giocare e non alle bombe», ha raccontato Omar, che dovrebbe frequentare le elementari, ma la scuola è stata rasa al suolo già da tempo. «Mi chiedo perché una bomba debba uccidere un bambino che sta solo giocando. Omar non fa che ripetermi che spera ci sia un’altra esplosione così potrà tornare a giocare con suo fratello, in paradiso», racconta la mamma.

La comunità internazionale ha tentato, finora senza riuscirci, di portare le parti in conflitto al tavolo dei negoziati e attuare un cessate il fuoco, ma gli scontri proseguono. Il sistema sanitario è al collasso, con più della metà di tutti gli ospedali e dispensari oramai inservibili. Le condizioni di vita sono ogni giorno più disperate. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr-Acnur) il 64 per cento delle famiglie sfollate non dispone di alcuna fonte di reddito. Altre sopravvivono guadagnando meno di 50 dollari al mese. Di conseguenza due famiglie sfollate su tre dichiarano di dover ricorrere a espedienti: «Si limitano o saltano i pasti, i minori vengono obbligati a lasciare gli studi, si rinuncia alle cure mediche. Le persone – spiega una nota dell’agenzia umanitaria Onu – si riducono a chiedere l’elemosina o a vendere i propri effetti personali. I casi di matrimonio precoce sono in aumento». La guerra è però un gigantesco affare. Secondo l’ong Oxfam i Paesi del G20 negli anni del conflitto hanno esportato agli otto governi che compongono la coalizione saudita armi per 31,7 miliardi di dollari. Meno di 6 miliardi vengono destinati agli aiuti umanitari. Per i mercanti di morte il guadagno è assicurato.


Nello Scavo
NP aprile 2021

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