La suola delle scarpe

Pubblicato il 15-05-2021

di Nello Scavo

Andare, vedere, ascoltare, incontrare, condividere, raccontare. Papa Francesco ce lo ha ricordato proprio in occasione della Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali. L’immagine del reporter che consuma la suola delle scarpe è molto suggestiva. Ma il Papa non ha voluto semplicemente rivolgere un omaggio alla nobile e difficile professione dell’inviato speciale. Sarebbe un’interpretazione riduttiva e autoreferenziale. Le sue sono parole rivolte a tutti i comunicatori.

 

Che si tratti di ciò che accade dietro l’uscio di casa, oppure le grandi crisi internazionali. È in fondo un richiamo alla vocazione e alla missione autentica del nostro mestiere. Un appello al giornalismo e a una comunicazione di servizio e di prossimità. «Ogni strumento è utile e prezioso», scrive il pontefice solo se ci spinge davvero ad «andare e vedere» ciò che altrimenti resterebbe sconosciuto o noto solo parzialmente, ma con lo scopo di condividere e far circolare le conoscenze.

 

Il Papa nel suo messaggio indica continuamente la via dell’incontro. Allo stesso tempo la riflessione del pontefice è un monito, perché non è sufficiente il mero «recarsi sul posto». Francesco ci chiede di più: «abitare la relazione». In altre parole, condividere almeno un pezzo di strada con i protagonisti dei nostri racconti. Dice il Papa che «per conoscere bisogna incontrare, permettere che colui che ho di fronte mi parli, lasciare che la sua testimonianza mi raggiunga».

 

Il messaggio del Papa è stato un sollievo. Andare per vedere e raccontare è in fondo la ragion d’essere del nostro mestiere. E per essere certo d’aver capito bene avevo chiesto a Domenico Quirico, un inviato che per stare dentro i fatti è finito sequestrato un paio di volte e perfino a bordo di un barcone di migranti, cosa ne pensasse. «L'atto giornalistico – è stata la sua risposta nell’intervista per Avvenire – è la condivisione di storie umane che abbiamo il dovere di raccontare e che possono essere raccontate soltanto sulla base dell'essere con quegli uomini, del vederli, dell'ascoltare, del camminare con loro, e con loro soffrire, aver paura, sognare e tradurre tutto questo in una narrazione giornalistica». In altre parole, «Il senso di questo documento del Papa è anche obbligatorietà del rapporto di fedeltà assoluta non soltanto con il lettore, ma con le persone che diventano oggetto della tua narrazione, un rapporto di lealtà totale, che può avvenire solo nel momento in cui sei e stai con loro. Tutto il resto non è giornalismo».

Dice infatti Francesco che «se non ci apriamo all’incontro rimaniamo spettatori esterni, nonostante le innovazioni tecnologiche che hanno la capacità di metterci davanti a una realtà aumentata nella quale ci sembra di essere immersi». Tuttavia, evidenzia, ogni strumento è utile solo se mette in circolazione conoscenze che altrimenti non circolerebbero. In particolare si sofferma sulle opportunità e le insidie del web. La rete con i social può moltiplicare la capacità e la velocità di condivisione delle notizie, in un flusso continuo di immagini e testimonianze – ad esempio per le emergenze nelle prime comunicazioni di servizio alle popolazioni – ed essere quindi «uno strumento formidabile».

 

«Tutti – afferma Francesco – possiamo diventare testimoni di eventi che altrimenti sarebbero trascurati dai media tradizionali» e far «emergere più storie, anche positive». Esiste, nota, il rischio di una comunicazione social «priva di verifiche»: non solo le notizie ma anche le immagini sono facilmente manipolabili, a volte «anche solo per banale narcisismo». «Tale consapevolezza critica – asserisce il Papa – spinge non a demonizzare lo strumento, ma a una maggiore capacità di discernimento», con responsabilità dei contenuti diffusi e del «controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole» così come, ribadisce, «tutti siamo chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere e condividere».

 

Non mi lascia certo indifferente l’omaggio ai giornalisti che corrono dei rischi in tutto il mondo. Nostri colleghi che Bergoglio ringrazia e incoraggia. Ma il Papa si rivolge in fondo all’intera filiera dell’informazione. A poco varrebbe il reportage di un inviato, le immagini dei fotoreporter, il resoconto filmato di documentaristi e registi, senza l’osmosi con i colleghi in redazione, con cui condividere e dare struttura organica alle informazioni raccolte.

 

C’è poi anche un invito agli editori. Perché in fondo sono essi, specie all’epoca della bulimia informativa da social network, di quella che Bergoglio definisce «eloquenza vuota», a decidere se investire oppure ridimensionare quel bisogno di «andare e vedere». Troppo spesso, anche a causa della crisi dell’editoria, si preferisce invece scegliere un giornalismo «senza mai uscire per strada», senza più «consumare le suole delle scarpe, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni».

 

Smarrire questo spirito significherebbe non solo danneggiare l’informazione, ma come ricorda ancora il Papa, una perdita «per tutta la società e per la democrazia se queste voci venissero meno: un impoverimento per la nostra umanità».

 

Da giornalista di Avvenire, poi, mi tocca molto la preghiera che Papa Francesco ha voluto offrire in conclusione del messaggio, che si chiude con una invocazione: «l’onestà di raccontare ciò che abbiamo visto».

 

 

Nello Scavo

NP febbraio 2021

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok