Triste perciò felice

Pubblicato il 31-07-2022

di Flaminia Morandi

Ci si confessa poco? Ci si confessa male? Non sarà perché si è impallidito il senso del peccato? Anzi: il senso della “contrizione”, che è ben altra cosa. Cioè la “frantumazione” del cuore, questo vuol dire la parola italiana, insomma il dolore, il dispiacere, il rimpianto di aver fatto del male.

I latini lo chiamavano penthos, i greci catanuxis, che dà proprio l’idea di una punzecchiatura dolorosa con una punta acuminata come una freccia. Insomma, un’emozione forte che risveglia la coscienza e la rende risoluta a darsi da fare per cambiare.
A volte la sofferenza provoca addirittura il pianto, come quello di un bambino che si è fatto male.

Origene, il primo grande teologo della contrizione, nell’Omelia su Geremia dice che ogni azione negativa lascia una traccia indelebile nel cuore ed è quella traccia che verrà resa pubblica il giorno del giudizio. Dà una tale importanza alla contrizione che in un altro scritto, per sua igiene interiore, ripercorre tutti i peccati che ha commesso per rivivere la vergogna come un castigo che si rinnova.

Gli sembra che i suoi peccati siano come “un sottobosco di cespugli” spuntati disordinatamente sul terreno della sua anima; dovranno essere bruciati ed è questa visione che lo fa tremare pensando al giudizio divino. Sì, capisce che una consapevolezza simile del dramma del peccato non è per tutti, ma Origene pensa che senza un forte senso della “contrizione” non possa neppure iniziare il cammino di una vita cristiana.

Non si tratta di una consapevolezza una tantum, ma “perpetua”. Non una sola volta, ma sempre. Non solo per i propri peccati, ma per quelli di tutti. E spiega perché: solo l’umiltà che viene dal dolore perpetuo del peccato può produrre reali “frutti di penitenza”, cioè la prontezza interiore ad accogliere volentieri tutte le prove, le difficoltà, le sofferenze della vita, nell’attesa paziente della misericordia di Dio.

È interessante che tutti i Padri dei primi tre secoli abbiano insistito tanto sulla contrizione e sul senso del peccato: un pessimismo oggi inattuale? Che assomiglia al senso di colpa paralizzante da cui Cristo vuole liberarci? Ma no!

Nella teologia cristiana non c’è mai un aut-aut tra un punto di vista e l’altro, ma sempre un et-et che include e tiene uniti in equilibrio Spirito, anima e corpo. «Dio, quando cancella i peccati, elimina anche la cicatrice. Non ne lascia traccia! Restituisce intera la salute e la bellezza dell’anima», dice per esempio san Giovanni Crisostomo, contraddicendo platealmente Origene. La “tristezza secondo Dio” della contrizione? Certo!
Ma il suo “lato A” è la gioia da “abbandonato” di un innamorato di Dio. Felice, perché umile. Felice, perché spoglio di sé.


Flaminia Morandi
NP marzo 2022

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