Testimone di verità

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


Ricordiamo mons. Oscar Romero, assassinato il 24 marzo 1980. Una voce che riempì un vuoto terribile, rispose all’ansia di verità e di giustizia presente nel cuore della gente, incoraggiò i cristiani nel cammino di una fede incarnata.

... a cura della redazione



Oscar Arnulfo Romero nacque a Ciudad Barrios, un piccolo villaggio agricolo nella diocesi di S. Miguel (El Salvador), il 15 Agosto 1917. Nel 1942 ricevette l’ordinazione sacerdotale nella cappella maggiore del Pio Latino Americano di Roma. Nominato parroco di Anamoròs, vi restò solo due mesi perché Miguel Angel Machado, vescovo di San Miguel, lo chiamò presso di sé come segretario di curia, un incarico che Romero manterrà per ventitré anni.

Nel 1960 assunse la direzione di «Chaparrastique», il settimanale cattolico di San Miguel. Durante la sua permanenza in città, oltre che di editoria, si occupò di tutte le associazioni cattoliche e incre mentò in modo particolare il culto della Madonna della Pace.

Nel 1967 fu nominato segretario permanente della Conferenza Episcopale di El Salvador, con sede a San Salvador, dove egli si trasferì il 31 agosto. La sua consacrazione episcopale avvenne nel 1970 e nel 1977 fu eletto arcivescovo di El Salvador.

Il 24 marzo 1980 venne assassinato mentre celebrava la messa nella chiesetta dell’ospedale «Divina Provvidenza» di San Salvador.

In un suo editoriale del 1973 affermava che «ogni liberazione deve essere vista alla luce della vera liberazione cristiana», e aggiungeva «non dobbiamo ridurla alle sole dimensioni sociologiche e politiche, ma analizzarla come uno sforzo di liberazione dal peccato». Romero affermava che «la liberazione consiste fondamentalmente nella comunione, nell’unione con Cristo e nella partecipazione fraterna».

Tuttavia egli non si rifugiò in una dottrina «sicura» per eludere l’impegno che esige la liberazione dall’ingiustizia politica. Lo dimostra la posizione che assunse nel settembre 1971 di fronte ai membri del governo in occasione della commemorazione dell’indipendenza. Ricordò che costruiscono invano coloro che vogliono edificare la libertà senza Dio, solo in base a progetti economici, sociali e politici. La liberazione è un dono e deve essere costruita attraverso la fedeltà a Dio.

Nominato arcivescovo indirizzò un messaggio a tutti i cristiani di El Salvador nel quale, dopo aver affermato che «non si stava più camminando verso la realizzazione del regno di Dio», faceva appello alle Forze Popolari di Liberazione (FLP) perché desistessero da ogni ricorso alla violenza. Denunciò decisamente la campagna denigratoria orchestrata contro l’arcidiocesi e in particolare contro i Gesuiti. Romero chiariva senza mezze misure che non esisteva un deterioramento dei rapporti tra Chiesa e governo, bensì, tra il governo e il popolo e che la Chiesa si era schierata a fianco del suo gregge.

La pubblicazione della seconda Lettera Pastorale,
nell’agosto del 1977, segnò una svolta decisiva nel suo pensiero e della sua attività. Il cammino percorso a fianco degli ultimi e dei diseredati, illuminato dall’approfondimento dei testi conciliari e dalla testimonianza dei Gesuiti, lo aveva convinto che la persecuzione contro la Chiesa salvadoregna fosse imputabile all’appoggio che il clero offriva ai poveri del Paese.

Per Oscar Romero tutti i cristiani, laici e sacerdoti, dovevano camminare a fianco della povera gente nella ricerca della «pace, frutto della giustizia». La giustizia sociale non deve limitarsi a fornire occasioni di lavoro ai cittadini; dal punto di vista evangelico essa consiste nel modificare la struttura della società; per far posto a rapporti meno squilibranti dal punto di vista economico e umano. Governanti e dirigenti, invece, continuavano a reclamare «pace e lavoro» ma non vivevano alcuna intenzione di cambiare le strutture su cui si reggeva il loro potere.

Alla luce della realtà concreta che viveva ogni giorno e illuminato dal magistero papale, Romero comprese che la scelta a favore dei poveri riguardava tutta la Chiesa. Scrisse perciò la sua terza Lettera Pastorale su questo tema e il documento finì per diventare la “magna charta” del suo impegno pastorale.

La risposta dei potenti, decisi a sradicare una volta per tutte la linea «sovversiva» del nuovo arcivescovo, fu immediata e brutale. Molti sacerdoti, sentendosi minacciati, lasciarono il Paese e altri pagarono con la vita la propria scelta di fede. Romero si trovò a lottare contro questa volontà di distruzione e usò le armi che aveva: una fede integra, un’abnegazione senza pari e la parola ferma e decisa.

L’omelia domenicale diventò una vera e propria cattedra per guidare il popolo nella lettura dei segni dei tempi, attraverso una catechesi attualizzata, vissuta e applicata alla vita di tutti i salvadoregni, tanto più che la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sociale erano ormai imbavagliati e asserviti al potere. La sua voce riempì un vuoto terribile e rispose all’ansia di verità che era nel cuore di tutti.

L’ombra della morte cominciò a incombere su Romero fin dai primi giorni della sua nomina ad arcivescovo e ingigantì via via che passavano i giorni. Le minacce divennero più chiare agli inizi del 1979 ed egli cominciò a intravedere la possibilità che gli venisse chiesto il dono della vita, come riscatto di tanti mali che venivano commessi nel Paese.

Nei suoi Quaderni Spirituali diceva: «Affido alla Sua provvidenza amorosa tutta la mia vita e accetto con fede la mia morte per quanto difficile essa sia... Mi basta, per essere felice e fiducioso, sapere con certezza che in Lui è la mia vita e la mia morte, che, nonostante i miei peccati, in Lui ho riposto la mia fiducia e non resterò confuso e altri proseguiranno con più saggezza e santità il lavoro per la Chiesa e per la Patria».

a cura della redazione








Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok