Su strade nuove

Pubblicato il 28-03-2013

di Matteo Spicuglia

intervista all’economista Luigino Bruni a tutto campo sul ruolo dei giovani nel mondo di oggi. Serve spazio: senza il loro protagonismo e i loro sogni la società non funziona.

“Mi raccomando, non sia mai pessimista”. L’intervista è appena finita: i sogni dei giovani, le incertezze del futuro, i limiti di una società ingessata. L’analisi della realtà è lucida e diretta. Ma Luigino Bruni sa guardare avanti e te lo comunica con semplicità. In fondo, solo così vive la speranza. Docente di Economia politica all’Università Bicocca di Milano, è uno dei teorici dell’economia di comunione, una delle idee più belle nate dall’esperienza del Movimento dei Focolari. Gratuità, etica, fraternità: le parole chiave di un nuovo corso dell’economia vicino, concreto, a portata di mano.
Un terreno di impegno anche per i giovani, perché, spiega Bruni, “la crisi che stiamo vivendo è seria, realizzare i propri sogni è difficile, ma si deve fare il possibile per trovare strade nuove”. Proprio per questo, “dobbiamo smetterla di dire che i giovani sono il futuro”.

Perché?
I giovani sono soprattutto un modo diverso di vivere e interpretare il presente, l’oggi, la storia. Incarnano un nuovo sguardo sulla realtà, sanno vedere le cose da una prospettiva nuova. I giovani hanno nel cuore la profezia, spirito di innovazione, ideali, generosità, gratuità. Un mondo che li relega ai margini, non capisce nulla perché rinuncia ad un capitale immenso. E il modo più facile per farlo è dire che le nuove generazioni sono il futuro, come se il presente fosse un problema degli anziani. Siamo arrivati a questo punto grazie ad una cultura paternalistica che ha ancora in mente un modello sociale gerarchico, in base al quale un giovane non è considerato come un adulto.

Lei, invece, sostiene che “senza il protagonismo dei giovani non funzionano né la società, né l’economia...”. In che senso?
È proprio così. Se guardiamo la storia, i giovani sono stati a capo dei più grandi movimenti di cambiamento. È avvenuto nel Risorgimento, nelle proteste del ‘68, di recente con le Giornate mondiali della gioventù. Il protagonismo dei giovani è fondamentale, una componente essenziale per costruire il bene comune. Lo ripeto: i giovani hanno una vocazione naturale al cambiamento, sono portatori di una forza vitale che senza di loro non ci sarebbe. Pensiamo alle grandi scoperte in campo economico o scientifico. Arrivano tutte da giovani, non da ottantenni.

Come mai questo protagonismo fatica ad emergere?
Inutile nasconderlo. Il nostro è un sistema sociale e di potere occupato da persone anziane che non riescono a comprendere la grande questione giovanile del nostro tempo. Tanti giovani sono fuori dal mondo del lavoro, ma anche dai luoghi che contano dell’economia, della politica, delle istituzioni. Ci si consola con le associazioni di giovani industriali, con i movimenti giovanili dei partiti, con i giovani imprenditori. Come se gli spazi normali dell’economia e della politica fossero cose per vecchi. Il risultato è un sistema che funziona male, che non solo non dà spazio ai giovani, ma nemmeno li ascolta. Un esempio...

Prego...
Pensiamo al movimento di protesta degli inizi del 2000. A livello globale, i giovani puntarono il dito contro le storture della globalizzazione e gli effetti della speculazione finanziaria. Dopo gli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre, tuttavia, quei temi sono usciti completamente dall’agenda dell’opinione pubblica mondiale. L’attenzione si è spostata sulla lotta al terrorismo ed è stato così per quasi dieci anni. Il mondo ha pensato ad altro, salvo poi svegliarsi bruscamente con la crisi del 2008, causata proprio da quella finanza speculativa senza regole e controlli contro cui protestavano i giovani. Bisogna essere chiari: la crisi di oggi non è economica, ma etica e antropologica. Abbiamo dato più importanza alla ricchezza fatua della finanza che alla ricchezza reale del lavoro e della produzione. Forse, se dieci anni fa avessimo ascoltato di più i giovani e le loro richieste di una governance economica alternativa, le cose sarebbero andate diversamente. L’insegnamento? Quando i giovani protestano insieme, in tanti e su scala mondiale, danno voce a temi e domande che hanno un fondo di verità e che devono essere ascoltate.

I giovani e i loro sogni come possono prendersi lo spazio che meritano? Lei ha proposto di istituire addirittura delle quote giovani per i ruoli di responsabilità...
Sì, la mia è una sfida. In Italia abbiamo introdotto le quote rosa che stabiliscono la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle grandi aziende. Dovremmo fare la stessa cosa con i giovani. Introdurre cioè una legge che preveda spazi ben precisi. In un Paese normale non ci sarebbe bisogno di misure simili, ma da qualche parte bisogna pur partire: per spezzare certe rigidità possono essere utili anche decisioni prese dall’alto.

Non tutti sono d’accordo. Cosa risponde a chi sostiene che l’anagrafe non dice tutto, ma conta solo il merito?
Io credo che la politica dia un’immagine molto ingenua del merito e della meritocrazia. Sia chiaro, in alcuni ambiti i giovani ci sono. La comunità scientifica, per esempio, non fa molte differenze: è una sola, quando c’è una nuova scoperta l’età non è una discriminante. Il problema è la gestione ordinaria del potere. Del resto, il merito è un concetto a più variabili. Cosa conta di più? Un curriculum o il profilo umano? Un master o la capacità di mediare? La verità è molto più semplice: in certi ambienti si entra solo se si ha l’appoggio di un potente. Per questo dico che se non si introducono dei meccanismi dall’alto, donne e giovani continueranno ad essere tagliati fuori. È una questione di giustizia. Va bene competere, ma tutti devono partire dalla stessa posizione.

I giovani devono diventare protagonisti. Ma loro lo desiderano veramente?
Per il Censis, in Europa i ragazzi italiani sono quelli più ripiegati sul presente. In pochi per esempio, sognano di avviare un’attività propria, un progetto... Scontiamo i limiti di una società molto rigida e poco mobile. Nel senso comune, si percepisce la sfiducia: chi crede che un giovane di 25 anni possa diventare il capo di un’impresa? È colpa anche di alcuni pregiudizi. Storicamente certi aspetti della cultura cattolica e di sinistra hanno dato un’immagine negativa dell’economia. Nell’immaginario collettivo non si coglie a pieno il ruolo sociale di un imprenditore.

I giovani non hanno alcuna responsabilità?
Certo, le responsabilità ci sono. Il limite più grande dei giovani di oggi è la scarsissima attenzione che hanno nei confronti della sfera pubblica. C’è una fuga nel privato, nella piccola cerchia, in termini economici un’enfasi smisurata sulla felicità privata e non su quella pubblica. Eppure, il mondo non può essere il gruppo di amici. Serve un orizzonte più ampio. Spesso mi chiedo: perché oggi i giovani non protestano, perché non fanno sentire la loro voce, perché non chiedono conto agli adulti dei pesi di cui sono stati caricati? Penso ai debiti pubblici insostenibili, al modo in cui trattiamo l’ambiente, al cinismo che uccide la speranza.

Che risposta si è dato? È un problema di sfiducia o rassegnazione?
Sicuramente c’è molta negatività, guardare al futuro non è facile. Il clima si è incattivito. Io posso capire che un giovane si senta fuori posto, ma al tempo stesso dico che è anche lui a dover trovare strade nuove. Servono fatti, scelte concrete di impegno. Per quanto mi riguarda, da economista penso che il mondo dell’impresa sia un campo bellissimo per fare qualcosa, ma con un’etica.

Come vede il futuro?
Io non sono pessimista. Se un docente lo fosse, sarebbe contro natura. Penso che la crisi che stiamo attraversando sia grave, ma l’Italia può superare questo baratro. Servono responsabilità, serietà, maggiore consapevolezza. Ai giovani dico che possono e devono avere un ruolo.

E agli adulti?
Dovremmo dare ragione della speranza, impegnandoci a costruire un sistema politico e sociale a misura di giovane e meno a misura dei potenti.

intervista a cura di Matteo Spicuglia

NP Special – La passione educa 2/6
Una società bloccata, la fatica dei giovani, la crisi del mondo degli adulti. Il dialogo tra generazioni è sempre più impegnativo. Esiste una via di uscita? Giovani e adulti possono ancora camminare e progettare un futuro insieme? L’incontro passa solo dalle persone, da esempi credibili, da passione vissuta e testimoniata.

 


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