Chiedetelo a Pato!
Pubblicato il 08-01-2024
Nelle tragedie dell’immigrazione, volti, mai numeri…
C’è un’immagine che dice più di tante parole. Un uomo anziano, un Papa, che stringe le mani a un giovane con il viso rigato di lacrime. «Ho pianto e pregato per tua moglie e tua figlia», sussurra Francesco. «Il nostro Cristo è vicino a noi, non serve andarlo a cercare lontano. Lui è in ogni persona che subisce queste ingiustizie». Ad ascoltare Mbengue Nybilo Crepin, per tutti Pato, originario del Camerun, marito e padre di Fati Dosso e Marie, morte di stenti nel deserto tra Libia e Tunisia. Di loro resta una fotografia che ha fatto il giro del mondo e che farà epoca: una donna e la sua bambina unite in un abbraccio eterno, lo spaccato della realtà vissuta da milioni di persone sulle rotte disumane dell’immigrazione.
Pato oggi è un uomo distrutto, arrivato anche lui in Italia su un barcone, dopo cinque tentativi. Intervistato dal giornalista Marco Damilano, ha dato voce a un punto di vista prezioso che merita di essere ascoltato.
«Oggi provo un senso di pace, ma ci sono lacrime dentro di me perché ho raggiunto il mio obiettivo da solo, mentre il progetto lo avevamo previsto per tre persone, per tutta la famiglia. Avevamo un sogno da realizzare, un futuro da costruire e bastava soltanto attraversare questo mare. Ma la vita ha deciso diversamente per noi, prima di imbarcarmi ho pregato, ho pregato mia moglie e mia figlia».
E ancora: «Questo status di migrante illegale mi mette a disagio perché noi cerchiamo soltanto un futuro migliore. Non abbiamo fatto niente di male. Nei nostri Paesi ci sono condizioni di vita sfavorevoli e vogliamo salvarci. Niente può impedire di sognare, perché la Libia non è un Paese dove si può rimanere a vivere. Finché ci saranno le barche, il mare, le onde, i migranti cercheranno di attraversarlo. Ho perso la mia famiglia, e in mare ho visto morire tanta gente, tanti miei compagni che sono annegati davanti ai miei occhi. Quando guardo a destra vedo il mare, la Libia. Se giro la testa a sinistra vedo la bellezza dell’Italia. E mi fa capire che niente ci può impedire di sognare, niente ci può impedire di avere un sogno. Questo mare, questo mare mi ha rubato la vita, tanti anni della mia vita. Ma alla fine guardo a sinistra e sorrido».
È incredibile di dove possa spingersi la speranza di cambiare, di ripartire, di ricostruire un futuro. Sembra una categoria aliena al nostro modo di pensare, di vedere la realtà, di programmare. Un altro mondo che l’opinione pubblica e la classe politica vorrebbero vedere abitato di numeri, di fredda contabilità, di soluzioni a buon mercato, senza sfumature, con risposte basiche e ultra-semplificate, ma proprio per questo impossibili.
La realtà è opposta. È un altro mondo sì, ma pieno di volti, storie, persone. Di sentimenti, di progetti, di slanci e fatiche, di conquiste e di sconfitte, di gioie e molti dolori, di ricerche legittime e lotte per la felicità. Anche a costo di sacrifici immani. Esattamente come avviene per ogni uomo e donna condannati alla precarietà.
Buonismo? Invito a costruire un mondo senza regole? A far prevalere i sentimenti sulla politica? Tutt’altro. Piuttosto l’urgenza di riflettere, di mettersi nei panni degli altri, di assumersi la responsabilità di scelte e misure concrete, non prima di aver colto tutte le facce di un fenomeno, la carne e il sangue. Non è difficile, basta uno sforzo: chiedetelo a Pato!
Matteo Spicuglia
NP Dicembre 2023