Report Haiti

Pubblicato il 10-08-2011

di irene

Bimbo di Haiti con giocattoloIniziamo con questa pagina un diario in diretta da Haiti, grazie ad Irene, un'amica del Sermig che si trova nell’isola caraibica per uno stage inerente alla tesi che sta preparando. È un modo per restare in contatto con i sopravvissuti di una tragedia di proporzioni apocalittiche che ha bisogno del nostro costante coinvolgimento.

di Irene Panarello

12 feb. 2010 - La mia esperienza haitiana inizia con una telefonata per la tesi (motivo per cui sono qui in Repubblica Dominicana) a Sergio, un signore che lavora per l’ong Visión Mundial. Quando l’ho chiamato mi ha detto che potevamo parlare della mia tesi nel viaggio da qui ad Haiti, che sarebbe passato a prendermi la mattina seguente presto, se mi andava bene…gli ho detto di sì. Così il 10 mattina siamo partiti da Santo Domingo alla volta di Jimanì, un dei punti del Paese più vicini alla frontiera haitiana. Jimanì è stata tra le prime basi operative per l’emergenza, qui si sono riuniti i vari organismi per coordinarsi e sono stati curati moltissimi feriti. Così dopo aver mangiato qualcosa abbiamo cruzado la frontera. La situazione della frontiera è decisamente diversa dal solito, ci sono lunghe file di camion che trasportano aiuti umanitari, ingorghi perché la strada è stretta e non è asfaltata per qualche kilometro. Le jeep bianche che stanno usando tutte le organizzazioni qui, passano senza controlli particolari, ad esempio a me non hanno chiesto il passaporto neanche una volta, mentre camion e autobus sono molto più controllati. I controlli continuano per molti kilometri anche in suolo dominicano, dove i posti di blocco della polizia cercano di controllare che non entrino clandestini e che non ci siano traffici illegali.

La nostra prima meta è stata love all child, l’ospedale da campo a cui già vi ho accennato. È una struttura grande e organizzata, ci sono molte tende (approssimativamente un centinaio), due magazzini, delle strutture che sono diventate le sale operatorie. È qui che lavorano i ragazzi che hanno deciso di aiutare Visión Mundial facendo da traduttori volontari, perché sanno il creolo, e seguendo i bambini dell’ospedale da campo, in un progetto di attenzione psicologica post trauma. Dopo un primo sguardo all’ospedale ci siamo spostati verso Port au Prince, arrivando a 15 km circa dalla capitale, per portare dei giocattoli a dei bimbi di un orfanatrofio gestito da dei protestanti degli USA. I giocattoli ci sono stati regalati ed è stato veramente un bel gesto, perché il grosso delle energie sono concentrate ancora sulle necessità di base (acqua, cibo, salute) però dopo ormai un mese, iniziano a farsi urgenti anche interventi e necessità diverse.

Abbiamo visto molti sorrisi e molta vivacità quando i bambini hanno visto i giocattoli. Il problema degli orfani e dei bimbi di cui non si sa da dove vengono e che fine hanno fatto le loro famiglie, sono veramente tanti. Dopo un momento di raccoglimento tutti insieme abbiamo salutato i bambini dell’orfanatrofio e siamo tornati all’ospedale, per distribuire anche lì i giocattoli. Dopo aver salutato anche i bambini dell’ospedale siamo tornati a Jimanì per la notte, prima che chiudesse la frontiera. In tutto ciò c’è da considerare che Jimanì è un pueblo, e che questo significa che non è che ci siano tutte queste infrastrutture e soprattutto che la luce va e viene (spesso manca) e anche l’acqua da qualche problema. Questo non aiuta. Però ancora d più viene da pensare che in fondo anche a Jimanì siamo proprio fortunati, perché al di là della frontiera non ci sono ne luce ne acqua e davvero, a queste temperature e in queste condizioni non è un dettaglio da poco. Così andiamo tutti a riposarci.

L’11 mattina ci alziamo presto e dopo aver fatto il punto della situazione cruzamos la frontera di nuovo. Nel viaggio verso love child mi cade l’occhio su dei buchi che si possono facilmente osservare sulle montagne. Chiedo a chi mi accompagna se sono crolli dovuti dal terremoto, ma mi spiegano che in qualche modo ne sono la causa…è proprio da lì che la gente prendeva il materiale per fare le case che sono crollate come se fossero di sabbia ( e in effetti probabilmente non c’era molta differenza). I palazzi che erano stati costruiti con criteri antisismici sono ancora in piedi a Puert au Prince. Intanto alla radio danno notizia di un supermercato che è caduto mentre c’era dentro gente che lo saccheggiava, altri morti. Arriviamo all’ospedale e i ragazzi cominciano a dividere i bimbi in gruppi di età, avendo cura che i più piccoli non vengano separati dai genitori e che quelli che hanno problemi di mobilità stiano insieme, per proporre ad ogni gruppo delle attività. Altri intanto girano nelle tende per andare a trovare quelli che sono rimasti lì. Iniziano anche a cercare di fare delle schede per ogni bimbo, con informazioni su quello che ha vissuto, su come sta e come sta reagendo al trauma, oltre alle osservazioni che fanno durante le attività. Questo fa emergere molte problematiche. Molti bambini hanno incubi o sono molto affettuosi o aggressivi o agitati…insomma rispondono in modi diversi a questa grande sofferenza. Due sono le storie che vorrei raccontarvi. La prima è di una ragazza di 25 anni, che ha perso un braccio e che ha cominciato a parlare con una ragazza e con lo psicologo che guida il gruppo. Ha raccontato che non sa niente della sua famiglia che sta in repubblica dominicana. Quando le è stato chiesto di usare un foglio di carta per rappresentare come si sentiva, l’ha accartocciato tra le sue mani e ha detto che così era lei. Che ora che aveva perso un braccio si sentiva inutile, che avrebbe sofferto molto.

L’altra è di una ragazza di 16 anni che mi ha fatto cenno mentre passavo vicino a lei e che quando mi sono avvicinata mi ha detto solo pupù. Con l’aiuto di una delle ragazze che parlano creolo riusciamo a parlare un pochino con lei. Ha perso una gamba e l’altra ha una frattura scomposta, non può camminare. E ha bisogno di andare in bagno. È sola, non sa nulla della sua famiglia, vorrebbe provare a chiamare la sorella, per vedere dov’è. Chiediamo in prestito una seda a rotelle per farla accompagnare in bagno. E a proposito di bagni, la situazione non è per niente buona…ci sono dei bagni chimici, che dopo poco fanno un odore terribile e che sono utilizzati da chi ha problemi di mobilità e che non può usare le latrine che usano tutti ( teloni che coprono buchi nella terreno). Ora sembra che si ponga il problema di verificare le condizioni degli accampamenti che stanno sorgendo e che le Nazioni Unite temono che siamo tirati su ( in alcuni casi) per avere gli aiuti. Di certo la gestione degli aiuti non è né facile né impeccabile, bisogna sollecitarli agli organismi che li gestiscono. La situazione sembra nelle mani delle Nazioni Unite soprattutto, con limitato coinvolgimento della popolazione locale e delle associazioni che già lavoravano in loco e che conoscono indubbiamente meglio la realtà locale e la gente.

Come avrete capito sono tante le cose che mancano, di cui c’è bisogno e questa emergenza durerà ancora molto. Tra l’altro si avvicina la stagione delle piogge e con lei la necessità di sistemare le condizioni di queste persone che verrebbero decisamente colpite negativamente anche dagli acquazzoni. Non sono state ancora prese decisioni sul futuro di Port au Prince, ci sono dibattiti in corso, sembra che anche all’interno delle diverse organizzazioni delle Nazioni Unite ci siano pareri discordanti. Speriamo il meglio per questa gente.

Irene Panarello

Accampamenti


Consegna giocattoli


Tendopoli


Bimbo

Consegna dei giocattoliBimba con giocattoliBimbo con giocattoliBimbo con giocattoli
Servizi igenici
Biancheria stesa ad asciugare
Tenda per visite mediche
Bambina in carrozzina

 

 

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