Politica in stand-by

Pubblicato il 11-08-2012

di Guido Bodrato

di Guido Bodrato - Dalla democrazia dei partiti alla partitocrazia senza partiti: la crisi della politica viene da lontano. Seminare la politica di etica, per riscoprirne il vero senso e il vero compito.
 
 
 
Più di un elettore su tre ha disertato le urne in occasione delle ultime elezioni regionali: l'astensionismo non era mai stato così forte, e questo fenomeno ha svelato quanto è profondo il solco che separa le istituzioni dalla gente, quanto rischia una democrazia che non è più espressione della società civile. In realtà, il dibattito sulla crisi della politica, cioè sul crescente distacco tra la "visione della vita" cui la politica dovrebbe riferirsi e il suo concreto modo di essere, risale agli anni '60. In quella fase della vita nazionale, con il declino della maggioranza centrista ed il contrastato avvio della politica di centro-sinistra, si era fatto più aspro il dibattito sul ruolo dei partiti, accusati di avere dimenticato gli ideali da cui aveva preso avvio l'esperienza repubblicana, di essere degenerati in partitocrazia e di non essere capaci di garantire la partecipazione alle riforme sociali ed economiche che si imponevano al fine di dare piena attuazione al progetto costituzionale.

Negli anni '60
Giuseppe LazzatiIn quegli anni, ponendo al centro della sua riflessione la questione etica, e con l'obiettivo di "costruire la città dell'uomo", Giuseppe Lazzati sosteneva la necessità di ricondurre l'ideologia al concetto di progetto storico-sociale: si trattava per i cristiani di svolgere una funzione mediatrice tra i vari convincimenti ultimi e la prassi politico-sociale dei partiti. La strada indicata da Lazzati comportava la riscoperta dell'etica, nella convinzione che avrebbe prodotto un nuovo protagonismo del laicato cattolico. La "mediazione" di cui parlava Lazzati non comportava una diminuzione dell'identità cristiana, ma impegnava a situare quell'identità nella storia. Moro avrebbe detto "nel tempo che ci è dato vivere". Quando si propone oggi l'esigenza di dare radici etiche alla politica, si ripropone una questione analoga a quella che si era posta in passato, anche se in un contesto storico per molti aspetti diverso e forse anche più difficile. In quella fase, una società che stava vivendo un radicale mutamento culturale e sociale, ed era attraversata da forti conflitti sociali, sollecitava la piena realizzazione del progetto costituzionale: erano in discussione l'attuazione della riforma regionale, la riforma sanitaria, la riforma pensionistica e lo statuto dei lavoratori. Ed era in pieno svolgimento un dibattito sull'intero ciclo dell'istruzione, dalla scuola secondaria all'università, con un movimento di contestazione globale che si proponeva di abbattere il sistema capitalistico. Lo sviluppo dell'apparato industriale aveva dato una forza rivendicativa straordinaria al movimento operaio, con tensioni che riguardavano anche le organizzazioni sindacali, ma quel "sogno rivoluzionario" si è dimostrato velleitario, poiché ciò che stava cambiando era proprio un capitalismo sempre più dominato dall'etica del profitto.

Arriva il '68
Aldo Moro sequestrato dalle Brigate RosseTuttavia la mobilitazione del '68, l'aspirazione ad una società più giusta, hanno lasciato una traccia nella cultura di una generazione ed hanno favorito la realizzazione di un progetto di welfare che si ispirava all'etica della solidarietà. In quella stagione di forti tensioni, Aldo Moro invitava la Dc ad essere "opposizione di se stessa", ad essere cioè disponibile a mutamenti molto impegnativi ed a sciogliere il nodo, imposto dalla realtà internazionale, che impediva il pieno svolgimento dell'alternativa democratica. Aldo Moro operava per favorire il passaggio dalla democrazia difficile alla democrazia compiuta, per la piena legittimazione della sinistra a governare il Paese nel rispetto delle regole della democrazia europea. Gli anni di piombo, l'eversione nera ed il terrorismo rosso, hanno troncato quel disegno politico ed hanno rovesciato - con l'esplosione di una violenza che ha stravolto ogni etica ed ogni moralità - il senso del dibattito sulla democrazia. I valori della Costituzione, che avevano ispirato i partiti incarnati nelle culture cristiana, marxista e liberale (si vedano le riflessioni di Italo Mancini su: "Forma etiche oggi"), sono stati messi sotto accusa. Con il declino della politica di solidarietà nazionale e dell'idea che la politica "è un servizio" e "la più alta delle carità", si è imposta la cultura che fonda la lotta politica sulla categoria del nemico e si è iniziato a parlare di una svolta in senso autoritario.

La fine della Prima Repubblica
Antonio Di PietroQuando i partiti della "Prima Repubblica" sono stati travolti da Tangentopoli, il loro declino è diventato irreversibile ed ha favorito un sempre più esplicito attacco ai valori ed alle regole della Costituzione. Questa deriva si è accompagnata all'affermarsi del potere della televisione ed al dilagare della società dei consumi, che ha imposto i suoi valori, cioè l'apparire al posto dell'essere. La politica è diventata spettacolo. In sintesi, la crisi della "democrazia dei partiti", cioè della Prima Repubblica, è stata accelerata dalla convinzione, prevalsa negli anni '80, che l'amministrazione del potere produce altro potere, che la democrazia è fondata sul "voto di scambio", che il potere "non è nulla, se non ne abusi". Imboccata questa deriva, la crisi morale della vita politica è diventata irreversibile e la corruzione ha coinvolto una parte importante dei politici.

I mali della Seconda Repubblica
Tuttavia si deve riconoscere - a più di quindici anni da quella vicenda - che la Seconda Repubblica è stata caratterizzata dal consolidarsi di una "partitocrazia senza partiti", con tutti i vizi del passato e senza averne le virtù. Nel passato era maggiore il rispetto per l'equilibrio dei poteri, l'informazione non era imbavagliata, l'indipendenza della magistratura non era minacciata da chi ha il potere, gli elettori avevano qualche maggiore possibilità di scegliere chi li avrebbe rappresentati in parlamento. La politica appare sempre più condizionata dagli interessi personali e delle corporazioni, e sempre meno ispirata al personalismo comunitario. Dopo la secolarizzazione si è diffuso un relativismo etico che giustifica ogni comportamento pubblico o privato, e gli scandali non scandalizzano più. Il pragmatismo, come segno di modernità di una politica che si è liberata dai vincoli delle ideologie, ha portato ad una politica senza principi. Con l'individualismo crescono le disuguaglianze sociali ed è sempre più difficile costruire "la città dell'uomo". Alla filosofia che assegna tutto il potere all'economia ed al mercato, si ispirano quanti pensano di concentrare il potere nelle mani di un uomo (o di una oligarchia) nell'illusione di rende più efficace l'azione del governo, nella convinzione che la democrazia è ormai un rapporto diretto tra il leader e un'opinione pubblica che a lui si riferisce. Questa riforma cancellerebbe il senso dello Stato, ma prima ancora l'idea del bene comune e della solidarietà, che sono i pilastri dell'etica applicata alla politica. Quando si invoca la discesa in campo di una nuova generazione di laici cristiani, quando si ritiene necessario un supplemento d'anima per la democrazia, a questo si riferisce la nostra riflessione.
di Guido Bodrato
 
 
 
 
 

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