Partorire se stessi

Pubblicato il 01-10-2023

di Flaminia Morandi

«Così fu sera, poi fu mattina: il primo giorno… Inizia dunque con la sera e finisce con il mattino di un giorno senza fine. Ma anche così, la storia del mondo, che scorre nella tenebra del peccato, altro non è, di certo, che un’unica notte, un unico terribile incubo che dura epoca dopo epoca. Eppure, è una notte piena del triste mistero della sera e della grandiosa gioia del mattino». Così scrive Pavel Florenskij, teologo, filosofo, matematico russo, prete, marito, padre tenerissimo.

Un genio e insieme un gigante dell’anima ucciso dal regime sovietico nel 1937 con un colpo alla nuca e gettato in una fossa comune. Non era fuggito dalla Russia come tanti intellettuali dopo la rivoluzione, Florenskij, era rimasto a continuare il suo lavoro, vestito da prete, anche se presentiva il proprio tragico destino: la Siberia, la prigionia, la morte. Dentro la scienza, dentro le leggi della matematica, dentro la fisica della materia, diceva, c’è un nesso mistico che tiene insieme tutto. Non la mistica falsa del sentimentalismo, dello psicologismo. Il vero mistico cerca di dire l’indicibile, tenta di trasmettere un’esperienza inesprimibile, che può rivestirsi di parole solo nella contraddizione: tenendo insieme cioè il triste mistero della sera e la grandiosa gioia del mattino.

Si tratta di vedere non con gli occhi fisici, ma con gli occhi del cuore. Il vangelo di Giovanni usa due verbi greci diversi, orao, il vedere fisico, theorao, il vedere oltre, nella profondità del mistero. Vedere l’infinito e non il tempo, vedere l’universo e non casa mia. Vedere oltre il dolore, il nostro problema principale. Dolore della perdita, della morte, del peccato, della malattia. Il dolore c’è, ma per passare dal vedere fisico al vedere nella profondità, va attraversato, scoprendo la sua misteriosa gioia. Gesù nel vangelo di Giovanni usa l’immagine del parto: «Una donna, quando partorisce, è nel dolore…ma quando ha dato alla luce il bambino non si ricorda più della sofferenza per la gioia che è venuto al mondo un uomo». «Senza doglie il Figlio non lo vedi», diceva Silvano Fausti, che ha dedicato la sua vita alla profondità dei vangeli: senza doglie non può nascere il cristiano capace di vedere con gli occhi del cuore in ogni notte la gioia del mattino e in ogni uomo un figlio e un fratello.

Il racconto della creazione in Genesi usa due termini per dire la parola “essere vivente”. Se è riferita all’animale, è una parola compiuta. Nell’animale non c’è niente da aggiungere. Se è riferita all’uomo indica un processo di trasformazione: l’uomo può diventare un essere vivente, ma non lo è ancora. L’uomo può decidere se vivere o non vivere, a seconda di come userà il soffio vitale che è stato messo in lui. L’uomo è un essere che vive a cavallo di due mondi e il suo compito nella vita è diventare vivo. È passare dall’orao al theorao, al vedere con gli occhi del cuore. Che Florenskij chiamava: “cuore cherubico”. Abbiamo a disposizione gli anni che ci vengono donati per farlo e prepararci al parto dei veri noi stessi: figli che tornano al Padre, adesso sì, capaci di vederlo.


Flaminia Morandi
NP giugno / luglio 2023

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