Amica morte
Pubblicato il 16-07-2024
Mai come in questo tempo l’uomo ha nascosto la morte come una vergogna che ha preso il posto del pudore una volta riservato al sesso. Oggi è la morte a essere oscena. Meglio ignorarla, meglio negarla, perfino a chi sta per morire: Ma no, vedrai… Un’assurda menzogna che toglie a chi è in punto di morte l’ultima occasione per entrare in contatto diretto con la propria coscienza. Mentiamo all’altro per mentire a noi stessi. Invece di scambiarci parole d’amore, di gratitudine, di perdono, invece di attraversare con una persona amata l’esperienza più importante della vita, invece di condividere con lei la sapienza e anche la leggerezza di cui ogni essere umano è dotato per affrontare la morte. E così commettiamo un furto, quello sì, mortale: rubiamo all’altro la possibilità di vivere a occhi aperti la propria morte. Lo condanniamo a una inconsapevolezza che è solitudine e abbandono.
C’è un posto dove questa commedia non si può fare: è un hospice per le cure palliative. Lì, le persone che entrano sanno che non usciranno vive. L’atmosfera che si respira è opposta a quella dell’ospedale dove la tensione di malati e parenti è tutta sulla scommessa di guarire. Chi entra in un hospice sa che non può più aspettarsi cure risolutive. Ecco che nell’ hospice, giorno dopo giorno, i volti delle persone si trasformano. Emerge dai gesti, dalle parole, in molti solo da uno sguardo, il tentativo di dire l’essenziale, quello che alcuni per tutta la vita non sono riusciti a dire. Gesti, sguardi che danno e chiedono amore. Quello vero. Non la sua parodia, l’emozione di un innamoramento o il sovvertimento dei sensi, ma l’amore che si lega un asciugamano alla vita e si china con rispetto sui piedi feriti dell’altro. L’amore gratis che non chiede né spera di ricevere.
In un hospice c’è concretezza e assoluto insieme. Il cibo conta tantissimo, ma più del cibo conta l’amore di chi ti porta buone cose da casa. Conta il senso della comunità, le attività da fare insieme. La ginnastica sulle carrozzine. La pittura. L’orto da seduti. Il cantare insieme, il pianto su ricordi passati da cui, ora, prendere congedo con dolcezza. Ma la musica dell’ hospice coinvolge tutti, gli infermieri, gli oss, i medici, gli psicologi, affettuosi, dolcissimi a differenza della narrazione mediatica sulle professioni sanitarie. Tutti preghiamo per la morte in un soffio, una morte incosciente. Che nella sua rapidità brutale rapisce alla persona l’incredibile privilegio di essere testimone del proprio passaggio in un’altra dimensione. L’ hospice insegna che una lunga agonia può essere l’occasione suprema. Dà il tempo che occorre a capire che la morte è il coronamento della vita, dà senso e valore a tutto, al bene ma anche agli sbagli, a tutto ciò che ha testimoniato nel tempo la nostra debolezza.
La consapevolezza del senso della nostra vita è l’unico successo che conta agli occhi di Dio. Chi ha fede cerca di farlo nel corso del tempo: meditazioni, esercizi spirituali, ritiri, confessioni dovrebbero in dosi omeopatiche metterci progressivamente di fronte alla nostra verità. Cioè provocare in noi, nella nostra coscienza, tante piccole morti del nostro ego vorace e presuntuoso che invece, per dare un senso al suo vivere, si affanna a costruire il proprio monumento. Chi cerca veramente il volto di Dio dovrebbe fare esattamente il contrario: meditazione dopo meditazione, esercizio spirituale dopo esercizio spirituale, ritiro dopo ritiro, ringraziare con gioia di ogni pezzo del monumento che crolla. Meglio se si sfracella tutta la statua e il cuore resta nudo, spogliato, umile e gioioso davanti a Dio. Finalmente libero da ogni commedia da recitare sul palcoscenico del mondo. Finalmente libero di incrociare lo sguardo perdutamente innamorato di Dio.
Flaminia Morandi
NP maggio 2024