Olivier Clément

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

Olivier Clément, teologo franceseNel 1998, per la prima volta nella storia, il testo della via Crucis del papa a Roma, il venerdì santo al Colosseo, è stato scritto da un ortodosso, laico, sposato con due figli e nonno di una bimba di tre anni: Olivier Clément, teologo (o piuttosto poeta?) francese, profondo conoscitore dei Padri orientali, autore di libri che sanno far conoscere il pensiero dei Padri e nello stesso tempo attualizzarlo nel momento presente, sempre con uno sguardo alla storia, alla letteratura, alla filosofia, mite e gentile, capace di ascoltare e dire cose fortissime con infinita dolcezza.
È nato in un paese dell’Hèrault, nel sud della Francia, in una terra di protestanti come protestante era, in passato, la sua famiglia d'origine.

Statua della Santissima Trinità, Venosa (PZ)È stato allevato nell'ateismo, ma lui, fin da piccolo, ha sempre sentito la presenza di Dio. Quando la sera era a letto su un fianco e sentiva il cuore battere, pensava: il mio cuore smetterà di battere, e così il cuore di tutti, e dopo, dopo c'è il nulla. E lo prendeva una grande angoscia. È stato seguendo quest'angoscia, per cercare di darle un nome, che Clément è passato attraverso lo studio di tutte le religioni fino ad approdare all'ortodossia dopo la lettura di un libro dì Losskij, grande teologo russo emigrato a Parigi. Lo aveva colpito ciò che Losskij scriveva della Trinità. Dice Clément. "La Trinità era l'unità totale come quella che avevo imparata dall'India. Nello stesso tempo ogni ipostasi della Trinità era unica, diversa dalle altre, il Padre non è il Figlio, il Figlio non è lo Spirito, dunque era l'unità totale e la diversità totale insieme, in Dio e nell'uomo ad immagine di Dio. Tutti gli uomini sono un solo Cristo, membri gli uni degli altri, e ciascuno consacrato nella sua particolarità da una fiamma dello Spirito data alla Pentecoste. Allora mi sono detto: ecco la soluzione. L'unità hindu e la diversità europea che in me si opponevano, ecco che le vedevo insieme, inseparabili nel mistero di Dio e di Gesù Cristo".

Un altro libro che l'aveva colpito era stato "Spirito e libertà", di Nikolaj Berdjaev. "Mi piacque molto. Pensavo: perché i preti non dicono queste cose? Leggevo che non c'è un filo d'erba che non sia nella Chiesa e che anche Marx e Nietsche forse stanno nel Regno di Dio perché la ribellione può avere un significato spirituale. Mi dicevo: è straordinario, allora si può essere cristiano". Dopo tutto questo cercare, quando si pose il problema della Chiesa, Clément andò a bussare alle porte di una chiesa ortodossa e incontrò proprio Vladimir Losskij, che diventò suo maestro ed amico. Fu battezzato un primo di novembre a Parigi, e pioveva. Disse il Credo, raccontano, con molto vigore. Un vigore che lo ha condotto a scrivere la via Crucis di Giovanni Paolo II.

Coppo di Marcovaldo, Giudizio UniversaleÈ il primo ortodosso ad insegnare a dei cattolici e a loro ha parlato della teologia dello Spirito Santo nella Chiesa ortodossa. Clément ha parlato da mistico, da studioso-poeta capace di stupori, da “risorto”. Con lui sono diventati vivi Isacco il Siro, Efrem, Massimo il Confessore, Nicodemo l'Agiorita, Evagrio Pontico, Ireneo, Gregorio di Nissa, Origene, Gregorio Palamas, Dionigi l'Areopagita, Gregorio di Nazianzio, Macario, Basilio, Giovanni Damasceno, e quant'altri. Ma mentre lui parlava di Spirito Santo e di Resurrezione, le domande dei ragazzi tornavano ossessivamente sul peccato e sul diavolo. Si può pregare per uno che si è suicidato o per uno che si trova in peccato mortale? Nell’inferno non c’è davvero più speranza, come nella parabola del ricco e del povero Lazzaro? Il peccato è l’inferno? Chi è il diavolo? E così via. Clément, trovava sempre storie per rispondere. Queste, per esempio.

Il metropolita di Mosca, Filarete, sentì dire che un prete di campagna era un ubriacone e lo sospese a divinis. Dopo qualche tempo cominciò ad avere degli incubi: vedeva ombre nere che si torcevano di disperazione e si chiedeva cosa significasse. Un giorno pregava davanti all’icona di san Sergio di Radonez e sentì una voce interiore che gli diceva: gli incubi sono a causa del prete che hai sospeso. Allora lo mandò a chiamare e lo interrogò e il prete gli disse, si, sono un ubriacone e mi faccio schifo, ho avuto spesso la voglia di suicidarmi e non l’ho fatto. Però durante la liturgia ho cominciato a pregare per le anime dei suicidi. Allora Filarete capì che le ombre dei suoi incubi erano le anime dei suicidi private dell’intercessione del prete. Così gli disse: va, torna nella tua parrocchia. Se puoi bevi di meno, ma continua a pregare come fai.

Un’altra storia è della liturgia caldea: il ladrone cattivo, crocifisso con Gesù, muore. Arriva alla porta del Paradiso e san Pietro gli dice: sei un ladrone, un brigante, non puoi entrare nel Paradiso. La liturgia racconta tutta la discussione fra i due, dove ognuno porta i suoi argomenti, con san Pietro testardo che non vuole cedere. Alla fine, esasperato, san Pietro dice: tanto la chiave del Paradiso ce l’ho io, non tu. Allora il ladrone gli risponde: ti sbagli, ce l’ho io. E tira fuori dalla veste la croce. Era la croce la chiave del Paradiso.
Il mondo è vinto dalla croce di Cristo: è un’affermazione straordinaria, perché non è ciò che si vede se ci si guarda intorno. Il peccato è proprio questo, ha detto Clément con le parole di san Isacco il Siro, il peccato è non saperlo, è prendere sul serio un fantasma, è non prestare abbastanza attenzione alla resurrezione, perché nella resurrezione le colpe dell’uomo sono come una goccia di veleno nell’oceano dell’amore. Forse ora non è facile capirlo: ci vorrà tutta la storia, ci vorrà l’Oriente e l’Occidente, ci vorrà l’India, la Cina, l’Africa per potere almeno un po’ presentire la ricchezza del corpo di Cristo che ci rivela lo Spirito.
 

MINIMA – Flaminia Morandi
NP aprile 1998

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