Meno Egoismo

Pubblicato il 05-02-2013

di Matteo Spicuglia

di Matteo Spicuglia - Il punto sulla politica estera europea: passi in avanti nonostante tutto.
L’analisi del politologo Vittorio Emanuele Parsi.

L’Europa e il mondo, la crisi e i suoi risvolti, non solo economici. Il vecchio continente può avere ancora un ruolo geopolitico importante, ma ad alcune condizioni: più integrazione e meno egoismi nazionali. Non ci sono altre strade, dice Vittorio Emanuele Parsi. Politologo, è professore ordinario di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano.

Professore, l’Europa è stata una delle novità politiche più importanti del secolo scorso. Qual era lo spirito degli inizi?
L’Europa nasce sicuramente come progetto politico, anche grazie alle fortissime pressioni degli Stati Uniti. Già nel 1947, il piano Marshall andava in quella direzione. Fu importantissimo perché partiva dall’idea di sostenere la ricostruzione non di singoli Paesi, ma di un’intera area. Il resto lo fece anche la Guerra fredda. La contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica spinse a forme di coalizione, Europa compresa.

Da allora, il processo non si è più fermato...
Sì, pensiamo all’allargamento ad Est degli ultimi anni. Con la caduta del comunismo, è completamente saltato in aria il sistema dei due blocchi che fino al 1989 aveva garantito una certa stabilità. In quel momento si apriva un problema gigantesco di stabilizzazione di tutti i Paesi dell’area. L’allargamento degli anni 2000 ha risposto a questa esigenza.

Con quali risultati?
Il dato incontestabile è che nazioni che avevano conosciuto il totalitarismo sono state ancorate in modo irreversibile a ideali di democrazia, in tempi in fondo brevi. Anche Paesi come Romania e Ungheria, che oggi fanno i conti con alcune spinte antidemocratiche, molto probabilmente senza l’Europa avrebbero avuto dei rigurgiti totalitari. Pensiamo a cosa è successo, per esempio, nei Paesi dell’ex Jugoslavia, alle guerre civili degli anni ‘90. Se quelle nazioni fossero state nell’Unione Europea, forse la storia sarebbe stata diversa.

Nei prossimi anni, l’allargamento coinvolgerà proprio i Balcani. La Turchia, invece, sarà della partita?
La situazione è molto diversa rispetto a qualche anno fa. Per anni, ci si è divisi sull’opportunità di far entrare o meno la Turchia in Europa. Personalmente, mi sono sempre speso a favore. Oggi, però, politicamente è un’ipotesi irrealistica. Per la Turchia stessa: i suoi interessi sono soprattutto nel Medio Oriente, il Paese confina con un’area turbolenta e ha l’ambizione di giocare un ruolo politico in quel quadrante.

Il cammino di integrazione non è stato e non è semplice. In oltre 50 anni, si sono alternati passi in avanti e stop improvvisi...
È vero. E non è stato per niente facile gestire le fasi di arresto. Un esempio per tutti: la Comunità europea di difesa, un progetto di collaborazione militare proposto nei primi anni ‘50. Il parlamento francese nel 1954 rigettò quel trattato, bloccando di fatto il processo di integrazione che era stato avviato. In quel momento, subentrarono altre istituzioni, come la Nato, ma non fu la stessa cosa.

Nel 2009, un passo in avanti: l’Unione si è dotata di un Alto rappresentante per gli affari esteri, una sorta di ministro degli Esteri comune. La riforma sta funzionando?
I risultati sono ampiamente inferiori alle aspettative. La crisi economica ha dimostrato che l’assetto istituzionale attuale è insufficiente.

Perché?
Perché continuano a prevalere gli interessi e i timori dei singoli Paesi. In passato, l’Europa ha dovuto arginare l’ambizione dei suoi membri più forti. Pensiamo alla Francia o alla Germania. Oggi, la situazione è quasi opposta: è subentrata la paura. Un Paese come la Germania fa fatica a prendersi le sue responsabilità. Non sono più in gioco mire egemoniche, quanto singoli interessi.

Il rischio è che la crisi economica metta in secondo piano i temi politici?
In questo momento, le minacce alla sovranità degli Stati dell’Unione arrivano dall’economia: l’austerità, i tagli di bilancio, il dibattito su politiche fiscali e finanziarie comuni. È un dato di fatto. Del resto, i due ambiti, quello politico e quello economico, sono da sempre correlati. A seconda delle stagioni, prevale uno piuttosto che l’altro, ma pensare di ragionare a comparti stagni è assurdo.

Quindi?
Quindi, servono riforme istituzionali anche sul piano politico. L’assetto attuale impedisce all’Europa di parlare a una voce sola sui temi della politica estera. I nuclei decisionali oggi sono su altri livelli. Abbiamo una pluralità di Paesi, che però non hanno una convergenza di interessi. Questo complica le cose. Lo si è visto anche nei rapporti con i Paesi della Primavera araba. La soluzione è una riforma che accentui il carattere federale dell’Europa, in tutti i campi.
 
In che modo?
Il quadro istituzionale deve essere adeguato. Penso a quello che è avvenuto con l’abolizione del principio di unanimità. Oggi, i meccanismi decisionali dell’Unione prevedono un sistema di voto a maggioranza, che tuttavia non garantisce una vera uguaglianza tra Paesi. In Europa, è come se ci fossero Paesi più uguali degli altri. Ecco, dovremmo risolvere questi problemi.

Come sono i rapporti dell’Europa con il resto del mondo?
Se parliamo degli Stati Uniti, negli ultimi anni le due sponde dell’Atlantico si sono avvicinate, anche per quanto riguarda l’opinione pubblica. Direi che c’è più cooperazione. La sfida però è un’altra. Oggi, viviamo in un mondo multilaterale, molto più diviso sui principi rispetto a 50 anni fa. Le ambizioni e il ruolo sempre più incisivo di Paesi come Cina o Russia non si basa sulla condivisione di valori democratici. Di questo dobbiamo tenere conto.

Con quali margini di influenza?
Beh, la nostra collocazione rimane occidentale. È difficile muoverci in altri ambiti. In Occidente, però, possiamo continuare ad avere un ruolo forte. Non dimentichiamoci che il Pil di Stati Uniti ed Europa è il 40% di quello mondiale e quindi esiste un margine di influenza notevole. Tuttavia, è importante che questo compito venga svolto nella tutela di interessi generali.

Meno egoismo, insomma...
Certo. Questo vale per tutti, ma a maggior ragione per l’Europa. Il suo ruolo strategico passa solo da una sua maggiore unificazione. Gli egoismi nazionali sono gli alleati più forti di ogni crisi.  

 




Le Tappe dell'Unione

L’Unione europea raggruppa ventisette Paesi, uniti da istituzioni, moneta e politiche comuni. Le tappe principali:
Nel 1951, a pochi anni dal conflitto che aveva insanguinato l’Europa, è siglato il Trattato che istituisce la CECA, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio.
Il Trattato di Roma del 1957 dà vita un anno dopo al mercato unico e alla CEE, Comunità economica europea, che riunisce sei Paesi fondatori: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.
Nel giugno 1985 l’accordo di Schengen dispone la libera circolazione delle persone.
Nel 1993 il Trattato di Maastricht istituisce l’Unione europea e sancisce le quattro libertà di circolazione di beni, servizi, persone e capitali.
Nel dicembre 2000 è redatta la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea che, allegata al Trattato di Lisbona entrato in vigore nel dicembre 2009, stabilisce norme per il rispetto dei diritti umani e per una più moderna organizzazione delle istituzioni europee. Vi aderiscono altri diciassette Stati: nel 2004 Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Cipro, Polonia e Ungheria e nel 2007 l’ultimo allargamento a Romania e Bulgaria.
L’euro entra in vigore il 1º gennaio 1999 ed è ufficialmente in circolazione dal 1º gennaio 2002 sotto forma di monete e banconote. Oggi è la valuta adottata da 17 dei 27 Paesi dell’Unione Europea.
Sul piano politico le sfide sono due: trasformare l’Unione Europea negli Stati Uniti d’Europa; rendere le istituzioni europee più democratiche e vicine ai cittadini.

Speciale – L'EUROPA CONVIENE 4 / 6

Le risposte alla crisi, la difesa della moneta unica, il confronto non facile con il resto del mondo. Dove sta andando il vecchio continente? Vale ancora la pena stare insieme? Sì, ma senza scorciatoie, perché il sogno di unità è la soluzione, non il problema.

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