Mai più

Pubblicato il 15-01-2023

di Flaminia Morandi

Lo scopo di una preghiera autentica non è ottenere quello che abbiamo chiesto (il più delle volte l’esaudimento di un desiderio egoistico), ma risvegliare il senso della presenza di Dio. Ignazio di Loyola – che non scrive un rigo senza partire dalla propria esperienza – raccomanda di far entrare l’immaginazione e tutti i sensi nella preghiera, cioè nella meditazione su un brano del Vangelo.

Significa immaginarsi di stare “dentro” la scena. Per esempio: immaginare di essere a Nain, fra quelli che seguono Gesù che entra nel villaggio o nel corteo funebre di quelli che escono per accompagnare la madre vedova alla sepoltura dell’unico figlio (Lc 7,11-17).

Significa immaginare le case del villaggio con il Tabor all’orizzonte, annusare gli odori, ascoltare i rumori, le parole della gente, osservare i colori delle case, del cielo, dei vestiti, guardare il volto in lacrime della madre, il volto di Gesù, il volto bendato del giovinetto che si rianima. Immaginare di “toccare”: la veste di Gesù, il catafalco che trasporta il giovane morto, una pianta spontanea lungo il sentiero, i presenti che urtiamo inavvertitamente.

Sembrano sciocchezze? Affatto, perché attraverso i sensi facciamo “rivivere” dentro di noi la scena. La ragione da sola non ha questo potere: anzi, se non è aiutata dai sensi, raffredda, isterilisce la meditazione, che rischia di trasformarsi in un ripiegamento su sé stessi, in una lamentazione solipsistica.

E intanto, mentre si immagina, registrare i sentimenti e i pensieri che sorgono. Cosa provo io? Che pensieri mi attraversano? Se non sono tutti belli, non importa, anzi, meglio: appuntarli, sono proprio quelli che rivelano i punti di me dove c’è da lavorare, da offrire a Gesù perché li trasformi. Come dice Barsanufio: «Getta la tua impotenza davanti a Dio», mettigli davanti il tuo piccolo te morto come il ragazzo di Nain.

L’immaginazione ha un ruolo indispensabile per sentirsi presenti a un evento passato e serve anche a preservare la mente dalle “distrazioni”. Immaginando, si ha voglia di restare dentro la scena, si comincia ad appassionarsi, si vuole assistere a quello che l’immaginazione suggerisce e con cui ci sorprende: sì, perché ispira nuovi significati che ancora a quella scena non avevamo dato. E mentre immagino, ascolto le parole che Gesù dice e che assumono ora un gusto diverso, un significato più pieno. Mi entrano dentro, insieme alla sua compassione. Ed ecco che la meditazione fatta così raggiunge il suo scopo: farmi sperimentare, anche solo per una manciata di secondi, l’immensità della compassione di Gesù, il suo concreto, reale vivere il dolore dell’altro. Di quella madre. Del mio.

Ed ecco che l’esperienza della compassione di Cristo, gustata per qualche minuto, non la dimenticherò mai, mai più. La presenza del Signore è penetrata nei miei pensieri e sentimenti attraverso i sensi, come solo lui sa fare: imprimendo in me una memoria non più cancellabile. Più da niente, più da nessuno.


Flaminia Morandi
NP ottobre 2022

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