Le vie umanitarie del grano

Pubblicato il 11-10-2022

di Claudio Monge

Solo dopo una settimana dall’inizio del conflitto russo-ucraino, con una dichiarazione del presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdoğan, la Turchia fece scattare i diritti previsti dalla Convenzione di Montreux sul transito delle navi attraverso il Bosforo e i Dardanelli, impedendo il passaggio di navi da guerra, destinate a peggiorare l’escalation militare nella regione.
Ma il Bosforo è via cruciale non solo per le troppe numerose navi da guerra ma anche una delle più importanti vie del commercio planetario e Putin ne è perfettamente a conoscenza. Le navi da guerra russe hanno a loro volta chiuso i porti di Odessa, Chornomorsk e altri porti del Mar Nero, bloccando la via marittima del grano ucraino e imponendo il trasporto dello stesso attraverso rotte terrestri congestionate e inefficienti. Lungo 31 chilometri, largo tra i 740 e i 3.700 metri, il Bosforo divide l’Istanbul europea da quella asiatica, collegando il Mar Nero con il Mar di Marmara, a sua volta connesso con il Mediterraneo attraverso lo stretto dei Dardanelli. Fino a ora il mondo era soprattutto consapevole del fatto che il Bosforo è una delle più importanti strozzature mondiali per il transito marittimo del petrolio. Oltre il 3% della fornitura globale dell’oro nero (qualcosa come 3 milioni di barili al giorno), principalmente dalla Russia e dal Mar Caspio.

Dallo scoppio della guerra russo- ucraina, l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), stima che 25 milioni di tonnellate di grano, stoccate in silos nei porti ucraini, siano di fatto rimaste bloccate, quando in meno di tre mesi, bisognerebbe fare spazio al prossimo raccolto. L’organizzazione sostiene, inoltre, che le truppe di Mosca stiano anche saccheggiando le strutture di stoccaggio per impadronirsi della preziosa materia prima e portarla in patria. In condizioni normali, il 60% di queste riserve, esce normalmente dalla regione del Mar Nero, proprio attraverso lo stretto istanbuliota, andando a soddisfare il 25% del fabbisogno mondiale, in gran parte in zone geografiche già a rischio alimentare.

Pensiamo, ad esempio, che il khubz, conosciuto anche come pane siriano, pita o pane libanese, alimento base nella dieta in Medio Oriente e Nord Africa, è in gran parte prodotto con il grano che dovrebbe arrivare via nave da Russia e Ucraina. In molti di questi territori le persone spendono mediamente – nonostante i sussidi – oltre il 40% del loro reddito in cibo (l’aumento dei prezzi dei generi alimentari incide, in genere, per il 17% sulla spesa delle famiglie nelle economie dei Paesi industrializzati): il timore generalizzato è che l’aumento dei prezzi (esponenziale, per altro, non solo a causa della guerra ma anche, ad esempio, della siccità che sta colpendo le principali regioni produttrici del mondo, come Canada, India, Brasile), possa innescare rapidamente una nuova bomba sociale.

In questa situazione emergenziale la leadership turca gioca una doppia partita: come grande importatore di grano russo-ucraino e come regolatore dei flussi commerciali attraverso il Bosforo. Il primo aspetto è a dir poco paradossale: la Turchia, affrontando gravi carenze nella fornitura di cereali da parte dei produttori russi e ucraini, ha cercato di rifornirsi dall’India, scontrandosi contro il muro del protezionismo alimentare del primo ministro Modi. L’opposizione sta però alzando i toni della polemica visto che la Turchia avrebbe la terra fertile sufficiente alla propria autosufficienza alimentare.

Questa crisi della sicurezza alimentare interna, potrebbe provocare gravi disordini civili, determinando un pericolo per la sicurezza nazionale del Paese. È questo stato d’eccezione che potrebbe permettere ad Erdoğan di esercitare una deroga all’Accordo di Montreux sullo Stretto Marittimo, ammettendo un passaggio di navi appartenenti a Paesi affacciati sul Mar Nero: la creazione di un “corridoio per il grano”, considerato ormai alla stregua di un “corridoio umanitario”.


Claudio Monge
NP giugno-luglio 2022

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