La fragilità del credere

Pubblicato il 12-01-2024

di Claudio Monge

La Chiesa, a partire dal Vaticano II, ha affrontato in “forma nuova” lo studio del rapporto tra messaggio evangelico e culture. Un particolare contributo all’inculturazione della fede viene dal discernimento dei dati costitutivi della stessa rispetto alle espressioni o i condizionamenti storico-esistenziali che le culture le imprimono.
Gli stessi studi di ermeneutica biblica ci dicono che la fede ha bisogno per esprimersi di strutture religiose e culturali, perché pur non identificandosi con esse (un tema già presente fin dall’età apostolica), non esiste a prescindere da esse.

Negli ultimi decenni la speculazione teologica circa l’influsso del Verbo nel mondo, o “cristologia cosmica”, per cui tutto è stato creato da, in e per Cristo, ha aperto la strada a una teologia della cultura. Il card. Duval, nell’Algeria del delicato passaggio tra epoca coloniale e post-coloniale, affermava che i popoli non possono essere considerati come tabula rasa sui quali scrivere una storia completamente nuova. Il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio è il modello indiscutibile dell’accostamento al mondo e alle culture. Non si tratta di un avvicinamento dal di fuori, con un certo senso di superiorità, ma di un avvicinamento dall’interno; non un movimento di semplice immersione ma di assunzione. Benché il regno di Dio non si identifichi con le culture e la sua vera crescita non possa essere confusa con il progresso della civiltà, esso inizia già nel qui e ora, in dialogo con e nella storia. Queste premesse molto generali, son essenziali nel complesso accompagnamento del catecumenato degli adulti, in particolare in terre come la Turchia, dove il riferimento religioso, almeno culturalmente parlando, è all’islam e non certo al cristianesimo, religione di un’infima minoranza di persone.

A chi, talvolta a insaputa del suo contesto famigliare allargato, chiede di incontrarci per poter iniziare un cammino di discernimento, nella prospettiva di abbracciare la fede cristiana, bisogna, prima di tutto, far capire che un credente non può essere ridotto alla dimensione religiosa delle sue convinzioni, ma che quest’ultima si inserisce in un quadro umano, psicologico, sociale e, in una parola, esistenziale, molto più vasto! Molti musulmani (almeno culturali) che bussano alle nostre porte ci affidano i loro sogni, spesso nel senso letterale del termine: il loro primo approccio al cristianesimo è onirico (prima di storcere il naso, dobbiamo ricordare l’importanza della dimensione onirica in contesto scritturistico…).
È qui che ci rendiamo conto che serve una Chiesa capace di nuova immaginazione e, quindi, anche capace di ripensare se stessa all’interno di nuovi contesti culturali. Bisogna lottare contro la fatica di sentirsi sfidati a essere parte viva delle grandi trasformazioni della storia, anche se è più facile pensare a un mondo costruito su codici immutabili e ostentare i motivi della sua immutabilità piuttosto che la sua precarietà. Chi non muta quando tutto muta alla fine diventa muto. Alla lunga, schemi obsoleti soffocano la vita. Per ovviare a ciò servono nuovi spazi, nuovi approcci, nuovi linguaggi (e non solo perché spesso e volentieri si deve comunicare con lingue materialmente prive di un vocabolario cristiano), che esprimano pratiche di nuova umanità.

Come già ricordava il card. Martini, nel suo profetico discorso alla città di Milano per la festa di Sant'Ambrogio del 6 dicembre 1990, Noi e l’Islam: il problema è cercare di capire quali sono i valori che realmente una persona incarna nel suo vissuto per considerarli con attenzione e rispetto. Questo senza dimenticare che la vita è evoluzione, per cui le persone per realizzarsi umanamente e spiritualmente devono modificarsi e le modificazioni possono anche essere all’origine di crisi fatali, sul cammino della fede.
Lo abbiamo sperimentato più di una volta, in percorsi anche già estremamente avanzati. Se certi abbandoni sono stati anche motivo di profonda delusione, non rinunciamo a credere che l’esercizio della leadership non consista nel “normare” ma nell’“ispirare”; non sia innanzitutto disciplinare, ma offrire senso.
 

Claudio Monge
NP dicembre 2023

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