L’amore è per sempre

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

icona.jpgLe pagine di Benedetto XVI su “Eros e agape – differenza e unità” lette in classe potrebbero diventare un volo entusiasmante in un iperspazio di riferimenti culturali capaci di illuminare le tante mute domande di una generazione che non ha più le parole: la colpa è di noi che l’abbiamo generata, e abbiamo tagliato via i ponti che ci univano alle radici. E senza radici, nessuna pianta può vivere.
Le pagine papali sull’eros/agape fanno venire in mente l’esperienza di vita di un filosofo religioso francese ortodosso, nostro contemporaneo, Olivier Clément. Il faticoso passaggio da eros ad agape Clément l’ha vissuto sulla propria pelle ed è diventato il filo rosso della sua opera: nel filosofo religioso - che è ciò che tutti i cristiani dovrebbero essere - vita e opera sono la stessa cosa. E l’opera più grande è la propria vita.

Da giovane, Clément s’innamora, vive l’enigma del rapporto fra un uomo e una donna e l’esperienza dell’eros. Gli sembra che la fedeltà sia impossibile. La strada della vita si cosparge intanto di “piccole morti”: persone “cadute”, travolte da questo parossismo chiamato amore che si nutre del possesso di un altro essere. Gli sembra che nella tristezza che segue l’istante del piacere ci sia la chiave della verità: il senso di colpa è il modo con cui la coscienza cerca di avvertirci che stiamo sbagliando strada. L’errore non è amare: è scambiare l’eros per un amore che non genera vita, è non riconoscere che l’eros è il camuffamento di un’altra “passione”, la paura di non esistere, è rivolgere la propria domanda di assoluto ad una persona sbagliata, limitata e debole quanto chi chiede. La fuga nell’eros non è che un “pretesto” per sottrarsi alla vocazione di tutti noi in quanto nati: l’ingresso coraggioso nella conoscenza di sé e verso l’incontro vero con un altro e con l’Altro.

L’eros cerca un corpo e ignora il volto, intuisce Clément; mentre l’amore cerca il volto, e vede il volto anche nel corpo. Del resto, non abbiamo che il nostro corpo per uscire dalla solitudine e dalla disperazione che ci abita, scrive nell’autobiografia spirituale. La contraddizione è tutta qui: il dolore ci chiama ad uscire dall’ego, e con la passione erotica noi crediamo di uscirne. In realtà, non amando realmente l’altro ma solo noi stessi, siamo nuovamente respinti nella nostra solitudine. Dopodiché, il ciclo ricomincia: una, due, mille volte. Ecco di nuovo Narciso allo specchio dell’innamoramento. Il tempo offusca lo specchio. Bisogna cambiarlo per farsi adorare di nuovo, inventare nuove seduzioni. Più l’amore diventa profano, più la profanazione si esaspera in nuove trasgressioni. Alla fine, compaiono o gesti da carnefice o gesti da schiavo… O siamo Tristano o siamo don Giovanni.

Ma l’avere raggiunto questa convinzione non significa, per Clément, tagliare con l’eros. Dopo il battesimo ricevuto a trent’anni, comincia a “compitare” con fatica, come i bambini quando imparano a leggere, il modo di una nuova vita. Umilmente ricomincia ogni volta da capo. Umilmente continua a mettere a disposizione di tutti, scrivendo, le intuizioni nate dalla lotta: la vita non è che una lunga gestazione perché il “corpo di morte” dia alla luce il “corpo di gloria”. Per i cristiani il corpo è una chiamata la cui risposta non è la morte, ma la trasfigurazione. Già ora, già qui.

Con Cristo che ha ristabilito l’integrità del Logos e della santa carne della terra, l’ascesi dell’eros è possibile, e la più alta ascesi d’amore è l’amore nuziale: nel paradiso non c’è il monaco, c’è la coppia. Con Cristo, il matrimonio non è più istituzione sociale, ma mistero. La vita nuziale vissuta nel riconoscimento continuo e nel continuo perdono dell’altro realizza il compimento dell’eros.
Oggi Clément ha ottantaquattro anni ed è malato, assistito con amore agapico dalla moglie, dai figli e dai nipoti, bel volto di vecchio trasfigurato dalla luce della sua ascesi.


Flaminia Morandi
NP marzo 2006

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