La grande sfida
Pubblicato il 14-09-2021
Uno dei più grandi maestri del Sermig, lo studioso torinese Giorgio Ceragioli, a cui è dedicata la nostra Università del dialogo, ci insegnava che per ridurre l'inquinamento ci vuole più tecnologia, e non meno tecnologia. E che occorre usare tutta l'esperienza dei secoli e accedere a tutta la tecnologia, a tutta la scienza del presente, non per competere nella corsa ai consumi, ma per raggiungere soglie alte di sviluppo umano. Ceragioli ci presentava la tecnologia non come una minaccia per l'occupazione o per i costumi, ma come una speranza per risolvere tanti problemi dei più poveri. Ci esortava a non essere dominati dalla tecnologia, ma a dominarla a favore dell'uomo.
Di fronte ad un progresso tecnologico repentino e quasi travolgente, che rende superato tutto ciò che non è digitale, corriamo il rischio di dividere la società tra chi è coinvolto in questo cambiamento e riesce a dominarlo e chi lo subisce o ne è completamente escluso. Abbiamo la responsabilità di guidare questo processo per ridurre le disuguaglianze invece di accrescerle e per alzare la soglia dello sviluppo umano come ci ricordava Ceragioli.
Non è la prima volta che l'umanità si trova di fronte ad una rivoluzione industriale. La prima rivoluzione industriale risale alla seconda metà del '700 con l'introduzione di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche come il carbone, mentre la seconda rivoluzione industriale inizia intorno al 1870 con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Anche in questi periodi storici l'innovazione dei macchinari e degli utensili suscitò grandi modifiche del lavoro e anche grandi proteste per la perdita di alcune mansioni. Si pensi ad esempio al movimento dei luddisti. Cento anni dopo prende avvio la terza rivoluzione industriale con l'introduzione massiccia dell'elettronica, delle telecomunicazioni e dell'informatica. Quella in cui siamo immersi viene considerata la quarta rivoluzione industriale e si fonda sulla diffusione pervasiva, in ogni settore produttivo e sociale della tecnologia digitale, una trasformazione che prevede una forte integrazione delle tecnologie digitali nei processi industriali, modificando in profondità non solo i prodotti, ma anche le metodologie produttive.
Se è nella manifattura che osserviamo l'impatto più prorompente del digitale, dobbiamo riconoscere che questa tecnologia ormai condiziona qualsiasi ambito della vita: dalla sanità (la telemedicina, il tracciamento dei contagi, per fare degli esempi) al commercio (l'e-commerce) all'istruzione (la famigerata didattica a distanza) al modo di lavorare (lo smart working nella pandemia ha fatto irruzione nella vita di ben 5 milioni di italiani) e via dicendo. Al giorno d'oggi è quasi più semplice fare l'elenco delle attività che non fanno ricorso alla tecnologia digitale che non il contrario. Anche la Pubblica amministrazione sta evolvendosi, mettendo a disposizione dei cittadini un numero sempre maggiore di servizi digitali, così come gli istituti di credito.
Quali sono le sfide di questa che a tutti gli effetti è una rivoluzione?
La prima è quella di cogliere appieno queste novità e di non rimanere indietro. Lo scorso 24 aprile, in un suo discorso, Mario Draghi ha attribuito alla bassa produttività l'incapacità dell'economia italiana di tenere il passo con gli altri Paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali, affermando che la causa di questo ritardo è legata per lo più alla mancanza di infrastrutture adeguate, alla struttura del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese, e infine all'incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale. Quindi anche la scarsa digitalizzazione delle imprese è all'origine della crescita anemica dell'Italia negli ultimi anni.
Il Sole 24 Ore del 29 aprile 2021 dà notizia di un'indagine presentata da Unioncamere in base a cui, per oltre i due terzi della manifattura italiana, le grandi opportunità offerte dalle tecnologie non sono all'ordine del giorno, nonostante sia stimato che la digitalizzazione valga fino a 7 punti di Pil.
La prima grande sfida quindi è promuovere rapidamente ed efficacemente il trasferimento tecnologico alle imprese italiane, siano esse attinenti all'industria, ai servizi, al commercio, al turismo o all'agricoltura. Per non parlare dell'estensione della banda ultra larga a tutto il territorio, comprese le aree interne, più periferiche e svantaggiate, per garantire l'accesso a internet veloce e la possibilità di attività produttive al passo con i tempi. Avere accesso alla banda larga è essenziale per studenti, insegnanti e lavoratori, unica strada verso lo sviluppo economico.
La seconda sfida riguarda la tenuta del mercato del lavoro. È chiaro che i rapidissimi progressi della robotica, dell'intelligenza artificiale e dei servizi on line stanno riducendo i posti di lavoro, mettendo in crisi intere categorie professionali, sia nell'industria che nei servizi, ma è anche vero che, parallelamente a questo fenomeno, assisteremo a un aumento di produttività (fino a +20% nelle imprese digitalizzate) e profitti (+25%) grazie alle innovazioni portate dall'industria 4.0. Questa fase di transizione va guidata politicamente, considerando che sia la svolta green sia quella digitale, creeranno anche nuove opportunità e nuove tipologie di professionalità. L'urgenza da un lato è far incontrare domanda e offerta di lavoro valorizzando i percorsi di studio più rispondenti ai nuovi bisogni e dall'altro è avviare un grande piano di formazione digitale che metta la forza lavoro già contrattualizzata al passo con il cambiamento epocale che stiamo vivendo e la ricollochi in caso di perdita del lavoro. Serve una formazione continua. L'analfabetismo digitale delle fasce di popolazione più anziane rischia di allargare la divaricazione generazionale e di creare nuove forme di disuguaglianza. La rivoluzione digitale, ma anche la pandemia, renderanno necessaria una vera e propria "ricostruzione del lavoro" devastato dalle conseguenze di questi eventi sulla produzione, sui consumi, e sugli scambi commerciali. Solo nel periodo da febbraio 2020 a febbraio 2021 si stima una perdita di posti di lavoro in Italia di poco inferiore al milione. Il tema quindi non è solo come mantenere il lavoro a fronte di cambiamenti tecnologici profondi, ma anche di come creare delle opportunità di lavoro grazie a innovazioni tecnologiche che generano nuovi prodotti o servizi. Senza dimenticare che anche dietro procedure molto automatizzate deve esserci un apporto umano, per conoscere e padroneggiare ciò che c'è dietro alla tecnologia e capire gli eventuali errori del processo. La formazione universitaria e quella professionale ad alta e nuova specializzazione saranno centrali nel nuovo modello produttivo.
La terza sfida attiene più strettamente il legislatore e le parti sociali e consiste nella formulazione di una normativa e di accordi aggiornati, che ad esempio regolamentino:
– lo smart working, affinché non diventi una nuova forma di sfruttamento del lavoratore e al contempo sia accessibile per quei genitori che lo vedono come uno strumento di conciliazione tra vita professionale e familiare,
– la tassazione delle grandi multinazionali come Amazon, affinché non siano eccessivamente avvantaggiate rispetto ai piccoli negozi di comunità,
– un nuovo impulso alla ricerca tecnologica e scientifica
– la possibilità di ripartire la stessa quantità di lavoro tra più persone, visto che l'avvento di macchinari sempre più avanzati ridurrà il lavoro disponibile. Come ci ricordava l'esponente della CISL Roberto Benaglia, la produttività non cresce solo con la digitalizzazione di processi e macchinari, ma anche grazie alla qualità dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro, a cui concorrono in larga misura gli accordi tra le parti sociali.
Infine, la quarta sfida riguarda la grande partita dei fondi del Next Generation EU, che per il 20% sono proprio dedicati al digitale e non possono essere dispersi, essendo un'occasione storica per la modernizzazione del Paese. La rivoluzione digitale comporta una transizione tecnologica di portata epocale e questo crea incertezza e talvolta preoccupazione, ma ormai è chiaro che il rischio sociale ed economico aumenta di più se non adottiamo questa nuova tecnologia. Il punto quindi è regolamentarla e governarla al meglio, sempre a favore dell'uomo.
Monica Canalis
NP maggio 2021