La SOMALIA e l’islam

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


Ultimamente si parla molto dei Paesi del Corno d’Africa, e quindi anche della Somalia, specialmente in relazione ai recenti eventi terroristici occorsi in Inghilterra e paventati in Italia.


di M. Aden Sheikh

Tanti amici si domandano e mi domandano: ma a quale “comparto” dell’islam appartengono i somali? Vi sono proprio elementi di AL-Qaida in Mogadiscio? Vi sono rischi per l’Italia? Naturalmente non posso rispondere a tutte le domande, ma cercherò di avviare un breve discorso sull’insieme dell’attuale situazione somala.

La setta wahaabita, a cui appartiene la maggior parte dei “casinisti” nasce e, fino a una trentina di anni fa, rimaneva ingessata nei confini dell’Arabia Saudita, quando ancora esisteva la guerra fredda e in tanti Paesi del “terzo mondo” si succedevano colpi su colpi di Stato, i governi militari introducevano “socialismi” di varia espressione e colore. La Somalia non ha fatto eccezione. Quando i militari hanno preso il potere hanno cercato, con la collaborazione di molti giovani idealisti, di trovare scorciatoie per uno sviluppo rapido e indolore. Cosa inedita e di improbabile riuscita.

In alcuni paesi l’islam aveva un volto “laico”, nel senso che lo Stato proclamava che la religione dello Stato “è l’islam” e niente di più. Il rapporto tra l’uomo e Allah era diretto ed è blasfemo creare figure di mediazione di qualunque genere e natura. La Sunna classica (da dove viene anche l’aggettivo sanniti) sancisce questo “assioma”. Senonché, dalle costole della Sunna sono nate alcune sette, tra le quali il “Wahaabismo”, istituzionalizzata con la nascita del Regno Saudita (intorno agli anni ’30) grazie all’aggressive predicazioni dei seguaci di mohammed Cabdul-Wahaab (1703-1792), alleati del futuro Re Abdulaziz aala-Saudi). Ma tutto questo non toccava i somali o i musulmani dei Paesi vicini, vedi Etiopia, eritrea, Gibuti.

Negli ’50, in Somalia, Wahaabista era sinonimo di eretico! Ma negli ’70 la musica cambia. Con il perdurare dei governi di Siad Barre (Somalia), Mingistu (Etiopia), Abdul-fatah (Yemen), tutti dichiaratamente impegnati a costruire una società laica (o meglio secolarizzata), l’Arabia Saudita lancia la sua sfida regionale: offre borse di studio negli Istituti religiosi (e in nessun’altra specialità!) e promette lavoro per la predicazione dei fondamenti dell’islam e della Shari-a nei Paesi di provenienza, quasi-apostati, e oltre! Naturalmente i Maestri sauditi potevano insegnare solo ciò che era farina del proprio sacco! E da quelle scuole sono usciti centinaia e centinaia di wahabiti, insofferenti dell’atteggiamento degli altri sanniti, perché lassisti e insopportabilmente tolleranti a contaminazioni estranee alla vera sunna e alla condotta dei Mu’minin e dei Muhajirin (i convertiti a Medina e quelli della prima ora a Mecca e poi immigrati a Medina).

Questo breve excursus storico, ci serve da base, per capire l’humus in cui è nato il “fondamentalismo” di una religione che si credeva incapace di muovere guerra ai propri correligionari (“…chi uccide un’anima - se non per giustizia o perché rovina la terra - è come se avesse ucciso tutta l’umanità, e chi la fa vivere è come se salvasse tutta l’Umanità…” 32° verso, della Sura Il Banchetto - traduz. libera). Ora, in questa povera Somalia si fronteggiano tre forze, due delle quali allergiche ai compromessi:

1) i signori della guerra, nessuno dei quali è capace di mettere da parte gli interessi e la gestione del potere conquistato sul campo, non importa con quali mezzi;
2) la Comunità di islamismi
(legati ad AlQaida - poco probabile - o semplicemente d’estrazione wahabita) sorda a qualunque discorso che non si allinei alla loro interpretazione della Shari-a e dei suoi dettami anti-secolarizzazione. Dopo un tentativo fallito di prendere il potere politico, manu militari, all’inizi degli anni ’90, ora si sono concentrati su tre obiettivi: a) accelerare le attività di predicazione pacifica, aggregando al massimo le grandi masse musulmane “ignoranti”; b) occupare l’istruzione e l’acculturazione su basi islamiche, in questo momento di vuoto istituzionale; c) accumulare soldi, per disporre di una finanza adeguata, nel momento, inevitabile, dello scontro tra le forze giuste e quelle “atee”;
3) la cosiddetta Società civile fatta, non tanto di società ma eminentemente di civili, e comunque non guerrafondaia. Il più grande limite dei civili è che la loro appartenenza a diversi Clan e sottoclan, e qualche volta la dissonanza dei loro atteggiamenti rispetto alla voce religione, invalida spesso la loro capacità di incidere sul corso degli eventi in agenda. Vi sono anche, naturalmente, le divergenti ambizioni politiche delle varie personalità nei vari settori sociali, che adombra il loro comportamento nei momenti critici dei processi di riconciliazione.

Da tutto ciò si evince che non è possibile una lettura univoca del pensiero e delle prospettive che i vari raggruppamenti somali si danno come prospettiva a lungo termine; tuttavia rimane chiaro che la maggioranza dei somali non si sono consegnati a un ordine religioso non proprio endogeno, ma che non si può escludere l’infiltrazione di gruppi fanatici che possono far male e impedire, con tutti i mezzi a loro disposizione, la nascita di istituzioni secolarizzate.

Il lavoro strenuo che fanno in molti nella società civile, con pochi mezzi e grandi slanci ideali, è opporsi a questa deriva. L’Associazione Soomaaliya fa sua questa posizione, e lo fa intervenendo a livello delle Comunità locali, per lo sviluppo economico di base, per il rafforzamento della lingua e della cultura somale, per il consolidamento di una coscienza tollerante, solidale e rispettosa dei diritti umani e quelli delle minoranze.

Dr. M. Aden Sheikh

Ps. Analizzare i comportamenti e le alleanze dei Paesi vicini e quelli occidentali, richiederà un altro capitolo molto impegnativo!

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