La rosa e la patata

Pubblicato il 12-05-2022

di Flaminia Morandi

Se fosse per Dio, non ci sarebbe nessun bisogno delle mura di una chiesa: «Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi potreste costruire?» (Is 66,1). Ma l'uomo è fragile, della materia ha bisogno, pregando vuole vedere, toccare, rifugiarsi, sentirsi accolto. Anche da mura. Già, ma quali mura? Sul pavimento del battistero di El Kursi al lago di Genesareth, VI secolo, c'è scritto: Photisterion, luogo di luce. Nella cappella arcivescovile di Ravenna, VI secolo, un'iscrizione dice: «La luce o è nata qui o catturata qui libera regna».

Nel cristianesimo l'edificio chiesa e la luce sono una cosa sola: entrare in una chiesa è entrare in una luce “altra”, in uno spazio dove la luce annulla il buio. La luce è spazio ma anche tempo. Giustino, morto martire nel II secolo sotto Marco Aurelio, è il primo a descrivere la liturgia cristiana e il suo rapporto con il tempo: i cristiani si radunano in uno stesso luogo «nel giorno che chiamiamo del Sole […] perché è il primo giorno nel quale Dio dal caos di tenebre plasmò il cosmo luminoso del mondo e il giorno in cui Gesù Cristo nostro salvatore è risorto dai morti». Luce spazio, luce tempo ma anche luce vita: la luce riscalda, la luce feconda, la luce produce varietà, la rosa come la patata, non c'è nulla che la luce non tocchi e faccia vivere, perché nulla si sottrae al suo calore (Sal 19,6-7). Ma la luce cambia a seconda dei punti cardinali: la liturgia celebra l'est e il sud, l'oriente e il mezzogiorno, dove la luce sorge e dove è più luminosa e calda. Le antitesi sono l'ovest e il nord: come dista l'oriente dall'occidente, così allontana da noi le nostre colpe (Sal 102,12). Nell'antico rito del battesimo, il vescovo faceva girare il catecumeno verso ovest per soffiare tre volte contro Satana e rifiutare la malizia del buio. Poi lo faceva voltare verso oriente con le mani alzate: verso la luce divina di Cristo, mèta della sua nuova vita da figlio di Dio.

Ma la luce è anche artificiale: per illuminare degnamente la basilica del Laterano a Roma, Costantino l'aveva dotata di sette grandi possedimenti terrieri le cui rendite servivano a illuminare la chiesa. A Costantinopoli, Santa Sofia era così illuminata che lo spazio vibrava come le scintille dell'oro della collana «che lo sposo cinge al collo della sposa», descrive Paolo Silenziario. Oggi non usiamo più candele, ma luce elettrica, che dovrebbe riprodurre il più possibile l'effetto e le funzioni della luce naturale. Dovremmo preoccuparcene?

L'illuminazione cristiana non è vibrazione, rapimento, estasi. È vedere la realtà così com'è, senza sconti, a cominciare da noi stessi. È guardare in faccia i nostri buchi e le nostre storture. È essere sempre più veri. Così scopriamo cos'è la vera luce, le vere mura di luce in cui vivere: è la distanza tra il nostro occidente e il Suo Oriente, colmata non dal nostro buio affannarci, ma dall'amore gratuito di Dio per ciascuno di noi.

Flaminia Morandi
NP Gennaio 2022

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