La responsabilità di proteggere

Pubblicato il 20-02-2023

di Edoardo Greppi

È possibile pensare in termini nuovi la sovranità dello Stato

Nell’ordinamento internazionale contemporaneo il principio di sovranità gioca ancora un ruolo essenziale nelle relazioni tra gli Stati. Nell’ambito dell’ONU si è gradualmente affermato il principio in virtù del quale i diritti umani sono oggetto di precisi obblighi di rispetto da parte degli Stati, al punto che le loro gravi violazioni non possono essere considerate come un affare appartenente alla sfera del dominio riservato degli Stati. Quindi, uno Stato non può rivendicare la difesa delle prerogative della propria sfera di sovranità per coprire estese violazioni dei diritti fondamentali della persona. Questo principio si pone inevitabilmente in rotta di collisione con quello di sovranità. Nella comunità internazionale dei nostri giorni, è cresciuta la sensibilità per i problemi dell’effettiva e, soprattutto, efficace protezione dei diritti fondamentali della persona umana in quanto tale e, conseguentemente, si avverte la necessità di mettere in discussione il dogma della sovranità, almeno nella sua interpretazione più assoluta.

Dalla fine del ‘900, si sono sviluppate una dottrina e una, seppur limitata, prassi volte a promuovere l’affermazione di forme di “intervento umanitario” a fronte di violazioni dei diritti umani perpetrati all’interno degli Stati. Due grandi tragedie degli anni Novanta avevano riproposto in termini brutali la questione. Come ha affermato il Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan: «Se l’intervento umanitario è, certamente, un assalto inaccettabile alla sovranità, come dovremmo rispondere a un Ruanda, a una Srebrenica, a massicce e sistematiche violazioni dei diritti umani che affliggono ogni angolo della nostra comune umanità?». In risposta a questa sfida, nel 2001 una International Commission on Intervention and State Sovereignty (ICISS), un gruppo di esperti indipendenti ha prodotto, nel dicembre 2001, un’ampia relazione dal titolo The Responsibility to Protect* che affronta il punto cruciale: «La questione di quando, se mai, sia appropriato che gli Stati adottino azioni coercitive – e in particolare militari – contro un altro Stato allo scopo di proteggere la popolazione a rischio in quell’altro Stato».

L’idea centrale è che gli Stati hanno un dovere di proteggere la propria popolazione da catastrofi evitabili quali uccisioni e stupri di massa ed eccidi prodotti dalla fame. Quando uno Stato non sia in grado oppure non voglia ottemperare a questo suo dovere, la “responsabilità di proteggere” deve essere assunta dalla comunità internazionale.

La novità risiede nella concezione stessa della sovranità, che – secondo la Commissione – non dovrebbe più essere intesa come “controllo” del territorio e della popolazione, bensì essenzialmente come responsabilità. La dottrina venne descritta come “norma emergente”, legittimando le azioni coercitive ai sensi della Carta delle Nazioni Unite, fino all’intervento militare come misura estrema. La dottrina della responsabilità di proteggere ha trovato consacrazione nel documento finale del vertice dei capi di Stato o di governo del 2005. In quell’occasione, l’Assemblea generale dell’ONU, riunita al massimo livello, ha riconosciuto che «ciascuno Stato individualmente ha la responsabilità di proteggere la sua popolazione da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità», e che la comunità internazionale dovrebbe in primo luogo e soprattutto «incoraggiare e aiutare gli Stati a esercitare questa responsabilità e sostenere le Nazioni». Ove i mezzi pacifici fossero inadeguati, la comunità internazionale dovrebbe essere pronta all’azione collettiva in modo tempestivo e decisivo, attraverso i meccanismi decisionali incentrati sul Consiglio di sicurezza.

La nuova dottrina è stata tiepidamente recepita dal Consiglio di sicurezza, l’organo chiamato ad adottare “azioni” a fronte di situazioni che rappresentino una minaccia alla pace, una violazione della pace o un atto di aggressione. Nel 2006, con la risoluzione 1674, il Consiglio «riafferma le previsioni (…) del Documento del 2005 sulla responsabilità di proteggere le popolazioni da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità». Papa Benedetto XVI, nel suo discorso all’Assemblea generale dell’ONU del 2008, ha richiamato con forza la dottrina della responsabilità di proteggere, invitando gli Stati a non considerarla come un'inaccettabile imposizione o limitazione di sovranità. Nella prassi, il Consiglio di sicurezza e altri organi (come la Corte penale internazionale) hanno richiamato la responsabilità di proteggere in pochi casi. Ai nostri giorni il rapporto su La responsabilità di proteggere dovrebbe tornare all’attenzione della comunità internazionale. I governi (compresi i massimi responsabili, fino al capo dello Stato) sono da ritenersi responsabili delle loro azioni. Le uccisioni di civili, gli attacchi indiscriminati contro i centri abitati con uso sproporzionato della forza sono crimini di guerra. Gli attacchi su larga scala o sistematici contro la popolazione civile sono crimini contro l’umanità.

Non resta che auspicare che la prassi consolidi la responsabilità di proteggere come connotato essenziale della sovranità e come fondamento di un preciso dovere della comunità internazionale di intervenire nei casi delle più gravi violazioni dei diritti umani, in modo che quella che è stata definita una “norma emergente” possa presto essere qualificata come “emersa” a tutti gli effetti. L’idea centrale è che gli Stati hanno un dovere di proteggere la propria popolazione da catastrofi evitabili quali uccisioni e stupri di massa ed eccidi prodotti dalla fame.

Edoardo Greppi

NP Dicembre 2022

* Per leggere la relazione integrale The Responsibility to Protect

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok