La legge del mare

Pubblicato il 30-06-2023

di Edoardo Greppi

L'ennesimo naufragio di un’imbarcazione nel Mediterraneo, sulla costa calabra, con il suo ormai consueto bilancio di morti, ha richiamato drammaticamente l’attenzione sui “viaggi della speranza”, che sono ormai diventati “viaggi della disperazione”. Una barca stracarica di persone era in mezzo al mare forza 4, a circa 40 miglia dalla costa, e non è stata richiesta un’operazione di salvataggio da parte della Guardia Costiera. Dopo una segnalazione di Frontex, si è attivata la Guardia di Finanza per un’operazione di polizia. Questi i fatti.

Le indecenti dichiarazioni del ministro dell’interno hanno giustamente suscitato una reazione sia da parte del mondo politico sia da parte della società civile. La politica e il diritto non sono sempre in sintonia. Quanto avvenuto in queste ultime settimane richiede che si dia uno sguardo alle ragioni del diritto, spesso sovrastate dalle urla della politica, dalla pressione della ricerca del consenso a buon mercato e – siamo franchi – da demagogia e populismo, spesso conditi dal cosiddetto sovranismo.

Già con il governo “Conte I” (Lega e M5S a trazione salviniana) e i relativi famigerati “decreti sicurezza” è apparso chiaro che l’Italia aveva ormai imboccato la strada del contrasto agli ingressi di quelli che vengono dalla politica semplicisticamente qualificati come “migranti”, senza riconoscere che tra chi cerca di entrare nell’Unione Europea vi sono anche altri soggetti, quali coloro che possono ottenere lo status di rifugiato o almeno forme di protezione umanitaria.

La politica comporta scelte, e queste sono orientate a conseguire determinati obiettivi.
La scelta del governo italiano è quella del contrasto, della chiusura dei porti, dei respingimenti, fino a ipotizzare addirittura “blocchi navali”.
Il diritto, invece, si caratterizza per la vocazione a limitare le scelte alle sole compatibili con le regole di un ordinamento giuridico. Ad esempio, evocare blocchi navali è una scempiaggine, dal momento che si tratta di un istituto del diritto internazionale di guerra, che può trovare applicazione solo in situazioni di conflitto armato.

In linea generale, l’ordinamento internazionale, in conformità con il diritto internazionale dei diritti umani, con il diritto dei rifugiati e con quello delle migrazioni, promuove le attività di ricerca, di soccorso, e le forme di accoglienza umanitaria. In Calabria hanno operato unità della Guardia di Finanza, in contatto con Frontex, l’agenzia dell’UE che presidia le frontiere esterne. Ne consegue un’attività essenzialmente di polizia, per contrastare tentativi di “immigrazione clandestina”. La Guardia Costiera, invece, interviene quando è richiesto un intervento di soccorso in mare. Nel caso del caicco turco non è stato richiesto l’intervento della Guardia Costiera, pienamente attrezzata per soccorsi anche in condizioni difficili. Nelle scorse settimane il governo italiano ha ricevuto due lettere a dir poco imbarazzanti, dal momento che provengono da importanti sedi istituzionali.

La prima è della commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic, che ha il compito di favorire l’effettivo rispetto dei diritti umani nei 46 Stati membri della più grande organizzazione politica europea (che ha sede a Strasburgo, e non deve essere confusa con l’Unione Europea dei 27). Il Consiglio censura severamente il decreto-legge (nel frattempo convertito in legge dal parlamento) che pone gravi limitazioni alle organizzazioni non governative (ONG) che operano per ricerca e soccorso in mare. In particolare, ritiene inaccettabile il divieto di realizzare operazioni multiple di soccorso (con l’obbligo di raggiungere il porto dopo ogni operazione, ignorando altre richieste di aiuto). Così facendo, un comandante «verrebbe meno ai doveri di soccorso secondo il diritto internazionale». Non solo, ma nella prassi italiana alle navi delle ONG vengono assegnati porti di sbarco che comportano una lunga navigazione, «prolungando le sofferenze dei naufraghi salvati», e imposti adempimenti burocratici onerosi e immotivati. Inoltre, si invita a «sospendere la cooperazione con il governo libico sulle intercettazioni in mare». La lettera richiedeva, quindi, al governo di ritirare il decreto o di modificarlo in conformità al diritto internazionale.

La seconda lettera è dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk, che afferma che la legge «punirebbe sia i migranti sia coloro che cercano di aiutarli». L’alto commissario ricorda al governo che «secondo il diritto internazionale un comandante ha l’obbligo di prestare immediata assistenza a persone in difficoltà in mare, e gli Stati devono proteggere il diritto alla vita», e sottolinea gli stessi aspetti messi in luce dal Consiglio d’Europa.
Il governo italiano ha sostanzialmente ignorato questi autorevoli richiami al rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, e sembra anzi deciso a proseguire sulla strada del rafforzamento dei controlli, del respingimento, del porre ostacoli alle ONG che si prodigano per soccorrere le persone in difficoltà.
A questa scelta politica fa riscontro una società civile sensibile alle tragedie umanitarie che si producono nel nostro mare.

Frequentemente, poi, si leva la voce di ammiragli (in delicate posizioni di comando) e, in generale, di ufficiali della Marina Militare e della Guardia Costiera, che pacatamente affermano che tutto si può fare, fuorché chiedere a un marinaio di non salvare una persona in mare. Richiamano “la legge del mare”, sicura, inderogabile, “umana” nel senso più alto e nobile.
 

Edoardo Greppi
NP aprile 2023

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