La faccenda di Dio

Pubblicato il 10-05-2013

di Matteo Spicuglia

a cura di Matteo Spicuglia - Il punto di vista di chi non crede. Lo scrittore Erri De Luca e il dubbio che fa compagnia. C’è differenza tra un ateo e un non credente.

Credenti e non credenti non sono poi così diversi, perché condividono la stessa strada. Merito di quel participio presente del verbo credere che li lega a doppio filo. È l’esperienza di Erri De Luca, scrittore di successo, non credente, eppure da anni affascinato dalla Bibbia. Ha imparato addirittura l’ebraico antico per tradurla, per avvicinarsi senza filtri al testo originale: un’esperienza che non lo ha portato alla fede, ma ha aperto cuore e intelligenza a parole che “bruciano, senza consumarsi, da qualche migliaio di anni”. “Il Dio unico della Sacra Scrittura – diceva partecipando all’Università del Dialogo del Sermig – ha deciso di attaccarsi a una risorsa non ancora sfruttata, la più potente, quella dell’amore. Nessuna divinità prima di allora si era immaginata di poter chiamare a raccolta questa energia fisica ed esserne il titolare, il destinatario (…). Nell’idea di quella scrittura non c’è che il cuore, le forze sono gli strumenti con cui amare la divinità. Non sono dei mezzi di trasporto! L’amore è proprio lì dentro! E il Dio unico non vuole estrarlo un po’ per sé, lo vuole tutto! Bisogna consumarla tutta quell’energia”.

Un Dio esigente…
“Senza dubbio. L’energia amorosa ha una caratteristica speciale, rispetto al petrolio che, una volta consumato, non c’è più. L’amore, invece, ogni volta che lo consumi, si rinnova: è un’energia pulita, che sta dentro il corpo della persona umana. Cuore, fiato, forze: non viene chiesta la testa. Cuore, fiato e forze sono sufficienti. Il Dio unico pretende totalità. Chi sperimenta questa totalità, si accorge che l’amore non si esaurisce. Anzi, il giorno dopo ce n’è ancora di più! È una sorpresa, insomma, una notizia, che ha permesso a quella divinità di attecchire. Ma c’è una premessa”.

Quale?
“Prima della richiesta d’amore, c’è un’altra frase: Ascolta Israele! È questa la premessa di quel sentimento amoroso che verrà dopo. La premessa è ascoltare. Quindi, prima di tutto: statte zitto! Interrompi quello che stai facendo, dichiara questa notizia a te stesso. Solo così sarai capace di avviare la macchina dell’energia amorosa”.

Si è posto mai il problema della fede? Una volta ha detto che il dubbio le fa compagnia… “Sono un non credente, cioè uno che non riesce a rivolgersi alla divinità. È questa la caratteristica di chi ha fede: rivolgersi con il tu, non con il lei, al suo creatore. Il tu è il pronome scritto e codificato nella relazione tra la creatura e la divinità. Davide molto spesso si rivolge alla divinità con un tu brutale, brusco, pieno di imperativi, un tu anche insolente. Anche Giobbe lo fa. Io non posso rivolgermi a Dio, ne posso solo parlare. Parlare di quello che leggo, delle notizie che trovo nella scrittura sacra. Un non credente e un ateo però sono diversi”.

Che differenza c’è?
“L’ateo è uno che ha risolto il problema una volta per tutte, e avendolo risolto, è portato a considerare gli altri, i credenti, delle persone che si raccontano una favola, attaccate a questa protesi fittizia che è la fede. L’ateo si nega un rapporto di parità, si sente superiore o estraneo alla persona di fede. L’ateo è come un talebano. Al contrario, in obbedienza al participio presente, io sono uno che tutti i giorni non crede. Il poeta tedesco Heinrich Heine raccontava un episodio: da ragazzino, il professore di francese gli chiese di tradurre la parola glaube (fede). Heine ci pensa e invece di dire foi (fede), dice credit (credito). La classe scoppiò a ridere. Quell’errore di Heine però a me piace, perché dice una cosa giusta”.

In che senso?
“Il credente è qualcuno che rinnova il proprio credito, la propria linea di credito, nei confronti della divinità, anche di fronte all’evidenza opposta, anche di fronte al dubbio, alla paura, alla prepotenza delle forze negative del mondo e degli uomini. Il credente è come chi non crede: è qualcuno che tutti i giorni sta là e ha a che fare con la faccenda di Dio, con la questione della divinità. La differenza tra me e chi crede è che io ci rinuncio, lui invece rinnova la sua fiducia. In relazione al participio presente del verbo credere, siamo persone che si misurano con questa notizia, regolarmente. Il nostro compito di credenti e non credenti è far vacillare gli atei e i talebani”.

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