L'argine della memoria

Pubblicato il 16-12-2022

di Matteo Spicuglia

La memoria è fatta di attimi e di giorni che con il tempo diventano anni. Capita che la memoria si scolorisca, diventi un pezzo da museo o peggio ancora venga dimenticata. Eppure, la memoria siamo noi ogni volta che impariamo qualcosa dal passato. In questo mese possiamo farlo ricordando l’esempio di due sacerdoti diventati beati. Morti insieme alla loro gente.
Era il 19 settembre del 1943: il paese di Boves, in provincia di Cuneo, sperimentò sulla propria pelle tutte le contraddizioni dell’armistizio dell’8 settembre. Istituzioni statali e militari allo sbando, l’invasione tedesca del nord Italia, la nascita della Repubblica Sociale.

A Boves si era costituita una delle prime formazioni partigiane italiane sotto il comando dell’ufficiale Ignazio Vian. Quel 19 settembre era una domenica: gli uomini di Vian catturarono due soldati tedeschi. Un gesto che portò immediatamente all’occupazione del paese da parte dei vertici delle SS. Il parroco don Giuseppe Bernardi fu convocato all’istante.
L’ordine era chiaro: o la liberazione degli ostaggi o la rappresaglia nel paese. Parola d’onore: prendere o lasciare. Don Bernardi accettò di mediare e con l’industriale Antonio Vassallo raggiunse in montagna la base del comando partigiano. Dopo una lunga trattativa, i soldati furono liberati, ma i tedeschi si rimangiarono le loro parole scatenando una furia senza senso sui civili.

Il bilancio fu impietoso: 350 abitazioni bruciate, 23 persone uccise, a cominciare dallo stesso don Bernardi ritrovato carbonizzato insieme a Vassallo. Tra le vittime anche il vicecurato del paese, don Mario Ghibaudo, di appena 23 anni, prete da tre mesi. Durante il rastrellamento, don Mario cercò di aiutare tutti, prendendosi cura in particolare degli anziani che facevano più fatica a scappare. Fu ucciso proprio mentre ne assisteva uno: colpito da un soldato tedesco che infine lo pugnalò.
È questo spendersi fino alla fine che ha portato don Bernardi e don Ghibaudo sugli altari, i simboli di una delle prime stragi naziste in Italia, con Boves al centro di nuove rappresaglie nei mesi successivi. Così in tanti altri paesi italiani: la scia di sangue di Sant’Anna di Stazzema, Vinca, Marzabotto…

Di quel dolore a Boves resta il ricordo, ma anche la scelta di fare della tragedia del paese una testimonianza al contrario: impegnarsi per la pace, sensibilizzare le nuove generazioni contro la follia della guerra, rendere il passato un monito per il presente e il futuro. Una sfida per niente facile oggi, in tempi complessi in cui è facile commuoversi, ma difficilissimo ragionare. Inutile nasconderlo: in fondo siamo abituati a vivere in pace, a scaldarci nelle nostre sicurezze, a considerare lontane certe tragedie. La guerra in prima persona non ci riguarda, coinvolge altri, uccide lontano.

Normale e anche comprensibile, ma una nuova sensibilità è alla nostra portata. Se imparassimo a sentire nella carne il dolore di chi ci ha preceduto, ad avere uno sguardo ampio ed equilibrato sulla storia, avremmo delle chiavi di comprensione splendide su chi oggi continua a subire gli stessi soprusi: in Ucraina, in Medio Oriente, in Africa, in ogni angolo del mondo dove il male continua a scatenarsi. Con queste chiavi potremmo renderci conto che il male non vince, perché ognuno di noi può essere argine.
 

Matteo Spicuglia
NP ottobre 2022

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