KENYA: la guerra dei Matatu

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


Un’atmosfera da vittoria popolare: il Kenya sta diventando un Paese dove anche i potenti osservano le leggi.

... Kizito Sesana

Una rivoluzione culturale. Una crociata per rivendicare la dignità individuale e collettiva del popolo Keniano. Rosa Parks e Martin Luther King che si ribellano contro la discriminazione razziale in Alabama. Thomas Jefferson e i sui scritti sui rapporti tra governati e cittadini. Pochi fatti nella storia recente del Kenya hanno evocato paragoni così altisonanti come il recente impegno del Ministro dei Trasporti John Michuki di mettere ordine nel settore dei trasporti pubblici, in particolare di regolare la circolazione dei “matatu”.









I matatu sono veicoli di compagnie private che sulle strade del Kenya competono, per costo e velocità, con gli autobus del trasporto pubblico In genere sono pulmini a 14 posti, ma ce ne sono anche di più grandi. Il loro nome deriva dal fatto che quando sono apparsi sulle strade bastavano tre scellini – matatu in kiswahili – per andare da una parte all’altra di Nairobi. Oggi di scellini ce ne vogliono quaranta o più, ma non solo questo è cambiato.
I matatu sono diventati sempre di più i padroni della strada, superando tutti i limiti di velocità, fermandosi a scaricare e caricare passeggeri anche in mezzo alla strada, noncuranti dei disagi procurati agli altri autisti. Circolando con veicoli in pessime condizioni, sovraccarichi – in un veicolo a 14 posti di regola se ne stipavano almeno venti – con autisti senza patente e non raramente sotto l’effetto del bhang (mariuana) per stare svegli, lavorare di più e fare più soldi. Ciò è avvenuto anche per la connivenza della polizia, che in cambio di qualche scellino chiudeva entrambi gli occhi.
Erano in gara tra loro per chi riusciva a fare più volte al giorno lo stesso percorso. Ogni giro in più erano soldi in più, poco importavano il disagio dei passeggeri e gli incidenti mortali, a cui hanno contribuito più di ogni altro mezzo di trasporto. Ricordo che una delle prima volte che mi capitò di viaggiare su un matatu il bigliettaio ci fece comprimere come sardine, poi, appeso all’esterno, segnalò al conducente di partire, ma all’ultimo momento vide un altro potenziale passeggero che arrivava di corsa; allora battè fragorosamente sulla carrozzeria e gridò in kiswahili “Usiache kobole”, cioè “non lasciamo quei cinque scellini”. “Ecco cosa siamo per loro: soldi, solo soldi”, commentò amareggiata una donna vicina a me che cercava di fare spazio al neonato che aveva in braccio, per il quale aveva dovuto pagare, nonostante le sue proteste, la corsa a prezzo pieno.

I matatu sembravano inarrestabili. I tentativi precedenti di riportarli sotto controllo, imponendo le cinture di sicurezza e un limitatore meccanico di velocità (“speed governor”), erano tutti falliti, anche perché spesso i proprietari dei matatu sono uomini politici influenti, vicini all’ex presidente Moi, il quale ha perso le elezioni alla fine del 2002, ma è rimasto un potente.
Si parlava ormai di “matatuism” e di “matatutization” della società Keniana. I matatu erano diventati il simbolo del potere che si può conquistare in Kenya con i soldi e la prepotenza. Ricordo un adolescente che, durante un incontro, alla domanda “come ti immagini il Regno di Dio”, rispose: “un posto dove i matatu osservano il regolamento stradale”. Ecco perchè Michuki, ha trovato nella sua campagna degli improbabili alleati, i clienti dei matatu, che non ne potevano più di questa situazione ed hanno preferito, per sostenere il ministro, camminare magari sei ore al giorno - tre per andare al lavoro e tre per tornare - piuttosto che cedere alla prepotenza. Ecco il perchè dei paragoni altisonanti apparsi sulla stampa keniana riferiti all’inizio. 

Michuki ha fatto approvare una legge che impone ai matatu le cinture di sicurezza per i passeggeri, uno “speed governor” che impedisca di superare gli 80 km orari, l’uniforme per gli autisti e i bigliettai, un segno identificativo per il veicolo che ne indichi la funzione di trasporto pubblico ed il numero massimo dei passeggeri. Michuki ha fissato come data limite per conformarsi alla legge il 31 gennaio. I proprietari dei matatu, forti delle esperienze precedenti, hanno ignorato l’ordine, sicuri che sarebbero riusciti a spuntarla anche questa volta. Solo 3.000 dei 40.000 matatu in circolazione nelle maggiori città Kenyane si sono uniformati.
A dispetto delle loro aspettative, dal mattino del primo febbraio i matatu non abilitati sono stati invece fermati dalla polizia e esclusi dalla circolazione. Il primo giorno, i lavoratori sono stati presi alla sprovvista, ma poi si sono organizzati. Michuki è rimasto irremovibile. Nei primi giorni c’era un’atmosfera da “o la legge vince contro i matatu o il Kenia piomba nel caos”. A Nairobi ho visto migliaia e migliaia di persone che al mattino alle 5 erano già in strada per presentarsi al lavoro alle otto. Pochissimi hanno preso le parti dei matatu… I quali non hanno avuto altra scelta che adeguarsi alla legge.

C’era veramente un’atmosfera da vittoria popolare. Mi raccontava un amico giornalista che il 3 febbraio era riuscito a salire su uno dei pochi matatu in circolazione, che ad un certo punto era stato superato da un veicolo che trasportava un’anziana coppia bianca. “Probabilmente – osservò il giornalista – era la prima volta in vita loro che riuscivano a superare un matatu. La signora si sporse dal finestrino e fece un radioso sorriso e un gesto di saluto ai passeggeri. Tutti risposero euforici. Si era creato fra l’anziana coppia di bianchi e i viaggiatori del matatu uno strano senso di comunanza e di vittoria. Solo il conducente e il bigliettaio del matatu, impacciati nella loro nuova divisa, abbassarono gli occhi, imbarazzati”.

E’ una vittoria che durerà? Solo se il governo riuscirà a riformare la polizia, che nel vecchio regime di Moi era una delle più corrotte del mondo. Un’impresa immane, ma quello dei matatu è un primo passo nella direzione giusta. Se la partecipazione dei cittadini continuerà, potrebbe diventare il segno di un cambiamento radicale: il Kenya sta diventando un Paese dove anche i potenti osservano le leggi.




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