Insultatemi pure

Pubblicato il 30-07-2023

di Flaminia Morandi

Bambini deportati o che muoiono in mare fuggendo dagli orrori del proprio Paese. Persone torturate. Anziani da un momento all’altro senza casa, poveri e soli. Genitori che assistono al massacro dei propri figli. Ammalati di cancro che non riescono più ad accedere in tempo alle cure gratuite. Quanti Giobbe soffrono accanto a noi, vicinissimi a noi. Come il Giobbe biblico vengono colpiti in pochissimi minuti, come nel libro di Giobbe un messaggero sotto forma di TG non fa a tempo a raccontare una tragedia che arriva quella successiva.

Sembra a volte, come in Giobbe, che il male si accanisca su un uomo solo. Viene in mente l’indi-menticabile Giobbe dello scrittore yiddish Joseph Roth e il suo sfogo amaro alla moglie: «Che vuoi, Deborah, i poveri sono impotenti. Dio non getta loro pietre dal cielo, alla lotteria non vincono e la loro sorte la devono portare con rassegnazione. All’uno Egli dà e all’altro toglie… Ah, al povero le cose vanno male se ha peccato e gli vanno male se è malato… Contro la volontà del cielo non c’è potenza che tenga. Esso tuona e fulmina, s’inarca su tutta la terra, dinanzi a lui non c’è scampo: così è scritto»

Ma il Giobbe biblico non si rassegna affatto. Travolto dalle tragedie che lo hanno colpito, la perdita del suo patrimonio, la morte dei figli, la sua stessa malattia, all’inizio reagisce con il silenzio. Seduto nella polvere, tace. Il silenzio è la descrizione più efficace e straordinaria della sofferenza. Non a caso, a parte rari casi, per decenni i sopravvissuti alla shoah hanno taciuto. C’è un’impossibilità totale di descrivere il dolore a parole. Quando riesce a farlo, Giobbe grida a Dio la sua protesta, chiede spiegazioni del suo silenzio, della sua lontananza, il perché del male, eterna domanda dell’uomo. Dio diventa il grande imputato in un processo dove Giobbe è la pubblica accusa e i suoi tre amici accorsi a consolarlo sono gli avvocati che difendono Dio con gli argomenti della teodicea tradizionale: che, invece di consolare, esasperano il dolore e lasciano inevasa la domanda sul male. Alla fine, Dio risponde. E conclude il suo discorso dando torto ai tre amici che credono di averlo difeso, «non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe»: perché il grido di rivolta di Giobbe, la sua contestazione è vera preghiera. E aggiunge infatti: «il mio servo Giobbe pregherà per voi»: perché proprio gridando e litigando con Dio, Giobbe ha dimostrato la sua radicale fiducia in lui.

Il finale scritto da Cristo è diverso. Cristo non costruisce nessuna teodicea: la sua risposta al problema del male è la solidarietà nel male. Se con il peccato di Adamo il mondo è diventato l’anticamera dell’inferno, Dio si lascia assassinare dagli uomini, catturare da Satana e scende nel nostro inferno per scardinarne le porte con la sua divinità. Giobbe insulta Dio e trova il Crocifisso. L’Uomo dei dolori ha preso il suo posto: per farlo entrare, per mano a lui, nella sua risurrezione.


Flaminia Morandi
NP aprile 2023

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