Il pellegrino

Pubblicato il 24-08-2020

di Flaminia Morandi

Era stato immobile per mesi, una gamba spezzata in battaglia. Durante la convalescenza, finiti i libri di imprese cavalleresche che piacevano a lui, la cognata gli aveva dato da leggere le vite di santi. Aveva cominciato a riflettere sui diversi sentimenti che gli suscitavano le due diverse letture. Quando era guarito, si era messo in cammino per Barcellona, con l’idea di imbarcarsi per Gerusalemme. Invece, dopo 660 chilometri a piedi, si era fermato a Manresa: tutto il percorso era stato una progressiva illuminazione, un «sentire e gustare le cose interiormente», fino all’ultima, sul fiume Cardoner: Dio si incontra in tutte le cose.

In quel pellegrinaggio era venuta a Ignazio di Loyola l’ispirazione degli Esercizi Spirituali, cammino interiore per vivere sempre più impastati con Dio: una grazia che allora aiutò la Chiesa a riprendersi dalla ferita di Lutero e oggi continua ad aiutare tanti cristiani, senza che 500 anni abbiano aggiunto una ruga di vecchiaia al “metodo ignaziano”. Ci vuole un pellegrinaggio a piedi per avere un’intuizione spirituale che cambia la vita? Qualcosa ci deve essere, se ogni anno 13 milioni di cristiani vanno a Lourdes e a Fatima, milioni di musulmani si recano a La Mecca, milioni di induisti si bagnano nel sacro Gange a Varanasi e più o meno 300 milioni di persone fanno turismo religioso. Sul Cammino di Santiago si incontrano persone con le motivazioni più varie, un male incurabile, una scelta di vita, la perdita di una persona cara o semplicemente una sfida con se stessi o un taglio al solito tran tran.

Tutti partono con una domanda dentro, quasi nessuno riceve la grazia che chiedeva mettendosi in cammino, ma quella che non prevedeva: al ritorno si scopre cambiato. Succede a tutti quello che l’Anonimo autore racconta del pellegrino russo: parte per conoscere la luce, va di chiesa in chiesa, ascolta omelie e conferenze. Sente dire che bisogna pregare, cerca un maestro e alla fine capisce che l’unico autentico pellegrinaggio è quello interiore. Gli diventano chiare parole prima incomprensibili, adorare in Spirito e verità, il Regno di Dio è dentro di voi, i gemiti inesprimibili dello Spirito, la gloria di Dio, rimanete in me. In ogni cosa vede un fuoco interiore.

Nel mondo trasfigurato il pellegrino è felice: «tutto mi invitava ad amare e lodare Dio: gli uomini, le piante, gli animali, dappertutto vedevo l’immagine del Nome di Gesù…». Non servono fiato e buone gambe per il vero pellegrinaggio; le gambe sono il desiderio di Dio, l’amore per il cammino con lui, per lo stesso cadere e rialzarsi sapendo che lui c’è sempre, per il presente vissuto con fiducia, per le meraviglie di cui si popola la vita in Cristo. Il vero pellegrino forse non ha mai viaggiato, forse è in un letto d’ospedale, nella propria stanza, nella propria città, per tutta la vita. Come Ignazio: gli ultimi quarant’anni vissuti nella sua stanzetta senza muoversi da Roma. Amando e servendo Dio, là dove ci si trova.

Flaminia Morandi
NP ottobre 2019

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