Il mondo in casa

Pubblicato il 22-08-2020

di Michelangelo Dotta

Se le diverse piattaforme sociali sono di fatto diventate il nuovo e pressoché unico modo di relazionarsi con gli altri, la rete, in tutte le sue articolate e infinite sfaccettature è diventata la trama resistente e flessibile di uno sconosciuto tessuto sociale che per soddisfare la gran parte delle proprie esigenze, si affida a smartphone, computer e tablet. In Italia è una scossa tecnologica senza precedenti, un terremoto telematico che ha coinvolto ogni settore produttivo fino a raggiungere in profondità gli equilibri delle famiglie e degli individui, tutti costretti tra le mura domestiche a misurarsi con il perimetro instabile del proprio ego molto spesso impreparato ad un confronto quotidiano a distanza ravvicinata.

È un modo del tutto sconosciuto di prendere coscienza del proprio essere individuo sociale chiamato all’alta responsabilità di relazionarsi innanzitutto con se stesso, una cesura netta con le abitudini consolidate dal benessere e dall’opulenza della nostra civiltà, un brusco risveglio da un sogno pieno di incubi che lentamente sei costretto a mettere a fuoco per accorgerti essere la drammatica fotografia della realtà che ti sta intorno. Lo status di rifugiati in casa che la pandemia ha decretato e posto in essere ha colto tutti di sorpresa, non ha lasciato tempo e spazio per consentirci un approccio morbido al nuovo ordine delle cose ma, da un giorno all’altro, ha reciso ogni ponte, ogni legame e ogni collegamento con il fittissimo e complicato mondo di relazioni in cui eravamo abituati a muoverci, in primis quello del lavoro.

Le famose 8 ore quotidiane, pausa pranzo compresa, le 40 settimanali che sembrano troppe e stressanti, improvvisamente sono diventate una fantastica chimera; quello che fino a ieri in molti vivevano come imposta routine da sopportare per giungere a fine mese all’agognato traguardo della busta paga, oggi appare come un sogno, una parentesi felice, un’oasi dove realizzare e ristorare il nostro essere comunità che opera e costruisce per il domani.

Privati in gran parte di questo orizzonte, impossibilitati di fatto a creare bisogni per poterli poi in misura diversa soddisfare, viviamo sospesi in un meccanismo che sembra essersi inceppato; la complessa macchina del benessere ci aveva dato l’illusione di essere un pendolo dal motus perpetuo, una silenziosa sicurezza in cui tutti ciecamente confidavamo, una sorta di immunità privilegiata che l’Occidente in primis dispensava quasi a disegnare un confine inespugnabile con il restante mondo meno fortunato, povero e sofferente.

Oggi un invisibile aggressore mette in luce la fragilità estrema delle nostre certezze e delle nostre dorate conquiste, demolisce puntuale argini sociali e barriere di protezione, ci aggredisce impietoso nel peggiore dei modi allontanandoci forzatamente gli uni dagli altri e trasformando il prossimo in un potenziale nemico da evitare. Nonostante lo sforzo globale, questa strategia, ad ora, è l’unica, reale forma di tutela che siamo riusciti a mettere in campo e, sinceramente, non mi pare una conquista di cui andare fieri.

Michelangelo Dotta
NP maggio 2020

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