I nuovi predatori

Pubblicato il 10-07-2023

di redazione Unidialogo

Tra guerra e fame in Africa c’è una interconnessione economica sui generis, perché le grandi potenze mondiali cercano di prendere senza lasciare nulla. Tanti anni fa un teorico delle Nazioni Unite, Richard Auty, nel 1993 ha coniato uno slogan per l’Africa, la maledizione delle risorse. Intendeva spiegare che più un territorio è ricco di una particolare risorsa e più quella risorsa sarà predata, quel territorio sarà rapinato, più la popolazione sarà impoverita e quindi si combatterà una guerra per quelle risorse. Noi gente comune rischiamo a volte di avere una visione distorta dell’Africa, considerandola un continente povero, mentre in realtà è il più ricco del pianeta, con moltissime risorse sia sopra sia sotto il proprio suolo.

Una realtà di cui invece si sono accorte da secoli le grandi potenze.
Già nell’Ottocento in Europa è cominciata la corsa all’Africa, il cosiddetto Scramble for Africa, uno “sgomitare” letteralmente per accaparrarsene le ricchezze. Ognuna si prese delle colonie, tra cui l’Italia, anche se arrivò ultima.

Ora assistiamo a una seconda corsa, in cui non soltanto l’Europa protagonista, per il grano e altri generi necessari per le tecnologie moderne, come le terre rare – coltan... - che fanno funzionare i nostri cellulari. Poi c’è l’aspetto del grano, che dipende dal discorso della guerra in Ucraina. I Paesi africani, infatti, hanno accolto in maniera diversa la proposta di condanna della Russia, proprio a causa della loro dipendenza dal commercio di grano.

Poi c’è stato l’atteggiamento di alcuni Paesi arabi, che hanno acquistato grandi appezzamenti di terreno in Africa, penso ad esempio nell’altipiano etiopico. D’accordo con lo Stato, hanno comprato e sfruttano questi latifondi, avendone bisogno in quanto Paesi desertici. Lo stesso ha fatto la Cina, che si è garantita il petrolio e il grano africano, mentre la Russia si sta garantendo i diamanti del Sudan mentre si sta prendendo il petrolio libico per continuare a finanziare in qualche modo la guerra contro l’Ucraina. E il segretario di Stato americano è appena tornato da un viaggio in Etiopia e nel Sahel promettendo aiuti umanitari in cambio di appoggi finalizzati allo sfruttamento delle risorse.

E qui arriviamo all’altro grande problema che il continente nero vive, ed è la corruzione. Un problema che nasce dalla mancanza della visione del bene comune.
Perché? Perché sono Stati relativamente giovani, nati 50 o 60 anni fa con l’indipendenza, hanno magari mantenuto legami con la potenza coloniale di prima ma non hanno una visione di Stato, ognuno tende a pensare a se stesso, alla propria elite. Sono stati disegnati sulla carta geografica, non hanno ancora un senso comune; e se coloro che in passato li hanno colonizzati continuano ad alimentare le divisioni interne per ragioni di interesse ecco arrivare la guerra con il terrorismo jihadista.
Attraverso la Somalia si è diffuso prima nel Sahel e poi nel nord Africa. In tutto questo ci guadagna chi vende le armi, è un mercato alle stelle.

In ultimo, l’impoverimento forzato imposto all’Africa a causa dello sfruttamento internazionale è causa indiretta dell’emigrazione forzata verso i Paesi occidentali. Sono tornato da poco tempo dalla Tunisia e ho scoperto con grande sorpresa un fatto che fa riflettere. L’olio italiano ora sta vivendo una crisi perché abbiamo avuto in Puglia una malattia degli ulivi, la xilella. Ora, da Tunisi all’Algeria è tutto un uliveto. Dove vanno a finire quelle olive? Vanno in parte in Italia, in parte in Spagna.
Io spero che vengano vendute come tali, anche se non ho mai visto sulle nostre bottiglie di olio made in Tunisia… I piccoli produttori sono l’anello debole. Se pensiamo che noi in Italia abbiamo una filiera di sfruttamento ancora molto grande nonostante la legge sul caporalato emanata nel 2016, immaginiamoci la situazione in Paesi dove non c’è la capacità di consorziarsi. È dalla Tunisia che arriva gran parte del pesce venduto in Italia, magari non tutto acquistato regolarmente. Quindi noi mangiamo molto pesce tunisino, specialmente le sardine, ma dobbiamo chiederci quanto viene pagato ai pescatori locali: se sono grandi si salvano, altrimenti finiscono per fare gli scafisti per arrotondare il guadagno di 150 dollari al mese. La conclusione è che povertà e sfruttamento generano illegalità o peggio.

Ma non tutto è perduto. Dobbiamo nutrire una grande speranza in quello che la politica può fare. Io credo ad esempio al metodo vincente della cooperazione. Sono convinto che l’Europa e l’Africa in questo potrebbero lavorare insieme, sono una cosa sola e hanno un destino comune.
Non solo noi che siamo affacciati sull’Africa possiamo pensarlo, ma anche altri continenti che si affacciano l’uno all’altro possono realizzare questo destino. Solo la politica è in grado di dare nuove regole. 30 anni di globalizzazione basata esclusivamente sull’economia provocano disastri e un mondo dove ci sono pochi ricchi che arricchiscono sempre di più e dall’altra parte tantissimi poveri che diventano sempre più poveri. Ci vuole una mediazione, e questa mediazione la può effettuare solo la politica.
 

A cura della redazione
NP aprilo 2023

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