Gli altri siamo noi

Pubblicato il 08-11-2020

di Matteo Spicuglia

Non era miseria, non era disperazione. Solo il desiderio di crescere, immaginare, costruire. Senza confini, senza paure, perché dopo una guerra terribile si può e si deve tornare a sperare. Da Torino al Brasile con un’idea precisa: produrre e far conoscere i panettoni ai brasiliani. Sembrava un azzardo, oggi gli stabilimenti della famiglia Bauducco ne sfornano oltre 70 milioni all’anno. Una storia incredibile.

Tutto inizia negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale. Carlo è un uomo intraprendente, vive a Torino con la moglie Margherita e il loro unico figlio, Luigi. Prima impiegato in una torrefazione, poi titolare di un negozio di miscele di caffè. E un fiuto particolare per gli affari. Un giorno viene a sapere che il fratello del suo datore di lavoro è un italiano emigrato in Brasile. Attraverso di lui prova a buttarsi nella compravendita di macchine per fare il pane da proporre alle panetterie locali. Le cose non vanno molto bene, ma la strada si apre improvvisamente quando Carlo arriva in Brasile per seguire da vicino quell’affare.
Conosce così la comunità italiana: centinaia di migliaia di persone e il loro legame viscerale con le origini. Il caso vuole che sia Natale e Carlo si accorge che sulle tavole dei connazionali emigrati manca solo un prodotto della tradizione: il panettone. È in quel preciso momento che decide di cambiare vita. Ritorna in Italia, ne parla con Margherita e Luigi e… via. Nel 1950 la famiglia si trasferisce a San Paolo.
All’inizio, un negozio piccolo piccolo e il primo panettone sperimentale, dopo qualche anno la prima fabbrichetta su un terreno di 3mila metri quadrati a Guarulhos. Il resto è la storia di un successo inatteso. I primi clienti arrivano con il passaparola, poi si aggiunge la pubblicità, la visione di Carlo di rendere il suo panettone un prodotto nazionale. Gli spot in radio, il lancio di volantini da aerei su tutta San Paolo, le immagini dei monumenti italiani stampati sulle scatole dei prodotti. Insomma, la costruzione di un immaginario che anno dopo anno convince e comincia ad attirare sempre più persone.

Luigi, il ragazzo di 18 anni arrivato nell’altra parte del mondo con i suoi genitori, diventerà presto l’erede di un impero nato dal nulla che oggi dà lavoro a oltre 6mila dipendenti, con prodotti esportati in 50 Paesi del mondo. Dopo la morte dei genitori, Luigi fu il perno di un successo senza sosta, dagli anni ’70 ai nostri giorni: nuove fabbriche, acquisizioni, il gruppo che si struttura come una holding, la Pandurata, dal nome di un albero fiorito. In privato, il matrimonio nel 1958 con Carla, anche lei figlia di pasticceri torinesi della Dulca, una marca molto famosa a San Paolo. Tre figli: Massimo, Silvana e Carlo Andrea, ancora oggi l’anima del gruppo.

Luigi se ne è andato poche settimane fa ad 88 anni, ammirato e compianto da tutti. Sereno, consapevole di aver dato tutto, senza aver mai dimenticato il punto di partenza. Ogni tanto, amava tornare a Torino per «andare a vedere ancora quell’angolo fra via Barbaroux e via Botero dove, – raccontava – vicino ad una bottega genovese che faceva la farinata e il castagnaccio, c’era il nostro negozio di caffè». «Ora al suo posto c’è un ristorante, – diceva – ma mi sembra ancora di sentire la voce di mio padre Carlo chiamare Margherita in quell’atmosfera magica del Natale».
Che storia quella dei Bauducco! La storia di chi ce l’ha fatta, senza farsi mai fermare dalle difficoltà. Una storia comunque impossibile se non ci fosse stato un Paese disposto ad accogliere, a dare un’opportunità, un’occasione di rilancio della vita. La storia di migranti italiani così diversi da quelli di oggi o forse no. Di certo, persone normali che possono aiutarci a capire ora più che mai che gli “altri” siamo noi.

Matteo Spicuglia
NP ottobre 2020

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