Dentro la crisi

Pubblicato il 04-02-2013

di Matteo Spicuglia

Intervista a Mario Deaglio di Matteo  Spicuglia - L’austerità e il futuro dell’euro, la finanza e la speculazione. L’economista Mario Deaglio spiega perché siamo arrivati a questo punto.

“L’Europa è nata da un patto di sangue. Francesi e tedeschi con le città distrutte dalla guerra si sono guardati negli occhi e hanno detto: «Mai più». Da allora sono passate due generazioni, il ricordo si è affievolito e il patto di sangue è stato sostituito da un patto di convenienza”. Per Mario Deaglio deve partire da qui ogni analisi sul presente e il futuro economico dell’Europa. “Oggi – spiega l’economista, docente di Economia Internazionale all’Università di Torino – sarebbe importante rivisitare i principi morali che sono alla base della storia europea. Dovremmo chiederci cosa ci tiene insieme davvero, cosa ci lega, perché ha senso essere uniti. Spesso ce lo dimentichiamo”.

Dieci anni fa, l’euro era stato accolto con grande entusiasmo. Oggi, con la crisi, la situazione è completamente diversa. Perché?
Il problema è che abbiamo considerato l’euro un comodo ombrello invece che uno strumento per costruire qualcosa. Prima, con le monete nazionali, trovarsi con un deficit commerciale significava non avere più denaro in cassa. Con l’euro, no. Era come avere a che fare con indicatori statistici. Ecco così che alcuni Paesi, come l’Italia, hanno accumulato deficit, una spesa pubblica eccessiva, perché tanto c’era l’euro e il deficit di un Paese come l’Italia era compensato dall’attivo di un Paese come la Germania. Altri non lo hanno fatto.

Chi?
La Germania, per esempio, sull’euro ha costruito la sua unità interna dopo quasi mezzo secolo di partizione del Paese, un patto sociale forte, accordi sindacali per la crescita. Oggi, noi paghiamo il prezzo di una scelta sbagliata: aver usato l’euro solo come riparo.

A un certo punto, il meccanismo si è rotto...
I mercati hanno cominciato a distinguere i Paesi virtuosi da quelli che non lo sono. E si è visto. I tassi sono rimasti bassi nei primi e aumentati nei secondi. Paesi presi a modello come Germania e Finlandia non hanno di fatto deficit corrente.

È la nostra debolezza?
Non solo nostra. Il punto è che in Europa, negli ultimi 30 anni, la generazione adulta si è ingozzata di beni di consumo di ogni livello, votandosi pensioni superiori ai contributi versati e mettendo tutto a carico della finanza pubblica. Abbiamo creato un sistema che di fatto ha escluso i giovani da tutto. Oggi, abbiamo una generazione di vecchi indebitati che cercano di fare pagare tutto ai giovani.

Il problema dunque è il debito. Eppure, nel senso comune la colpa è dell’euro. Cosa sarebbe successo in questi anni se avessimo avuto ancora la lira?
È difficile dirlo. Senza dubbio, avremmo subito un forte ridimensionamento nel cambio: la lira sarebbe stata debole verso l’euro e il dollaro. Avremmo avuto un problema di inflazione molto pesante, che avremmo risolto con misure drastiche, tagliando i debiti pubblici in maniera forzosa. La crisi argentina di qualche anno fa è un esempio di cosa vuol dire mantenere la propria moneta in situazioni di forte debito e deficit pubblico. Noi eravamo su quella strada prima dell’ingresso nell’euro. Molto probabilmente avremmo dovuto fare i conti con svalutazione, enorme sconquasso sociale, perdita di valore dei risparmi, beni di prima necessità alle stelle, code alle banche…

In questi mesi, l’Europa sta rispondendo alla crisi con politiche di austerità. Il caso della Grecia è emblematico. È la ricetta giusta?
Nel caso greco è una ricetta pessima. Intendiamoci, la Grecia ha colpe pesanti, ha mentito ripetutamente sull’entità del debito, l’economia sommersa e l’evasione fanno impallidire le nostre. Detto questo, l’Unione ha spremuto la Grecia, prevedendo solo una forte stretta sulla spesa pubblica e nessuna misura di rilancio. Se non si prevedono misure di rilancio, il Pil crolla e il deficit in termini percentuali rimane come prima.

In che senso?
Faccio un esempio: io posso anche tagliare un’auto blu, ma devo tenere conto che l’autista perderà il lavoro e spenderà di meno, il negoziante avrà un incasso minore e a sua volta spenderà di meno, e così via. Lo stimolo negativo si propaga in tutta l’economia. La Grecia lo dimostra. Abbiamo provato a risolvere il problema greco più volte, imponendo ad Atene tagli pesantissimi, ma non ne siamo ancora usciti fuori. Questo perché il rigore ha risultati positivi solo se accompagnato da dosi non piccole di ricostituente.

Qual è il ricostituente?
Non è facile trovarlo e neppure determinarne le dosi. In linea generale, però, se tagliamo 10, una quota di questo 10 deve essere reimmessa nell’economia. Si può stringere sull’economia in generale, ma bisogna allentare in settori specifici. Oppure privatizzare e con il ricavato fare nuovi investimenti, non ripianare solo il debito. In questo modo, prima o poi un Paese si riequilibra.

La speculazione tiene conto di questi sforzi oppure segue logiche proprie?
Sull’acquisto di titoli di Stato veri e propri la risposta è sì, quando invece si parla di derivati la risposta è no. Cosa sono i derivati? Sono titoli scommessa sull’andamento di un titolo vero come quello di un debito pubblico. Oppure sono titoli composti, con un pezzettino di debito italiano, ma anche greco e tedesco. Questi pacchetti seguono logiche proprie.

L’Europa come istituzione invece, come dovrebbe cambiare?
I problemi sono noti. Per esempio, non esiste un vero ministro europeo dell’economia. Fino a un anno e mezzo fa, ogni Paese faceva la sua manovra finanziaria senza tenere conto di quella degli altri.
Oggi, esiste l’Eurogruppo, ma servirebbero un maggiore coordinamento e politiche monetarie e fiscali coerenti. Meglio se attraverso un potere centrale riconosciuto e con un’autonomia finanziaria. Una parte delle imposte nazionali dovrebbe arrivare ed essere gestita dall’Unione.

È quello che chiede la Germania?
Sì e in questo la Germania è molto più europeista della Francia. I tedeschi sono molto rigidi, anche miopi, sulla finanza, ma in realtà hanno un’idea d’Europa più forte di altri. Un’Europa politica, con un parlamento vero, a patto che i conti di tutti siano a posto. Oggi dicono no agli eurobond perché temono che siano una scusa per dare soldi a chi non ha finanze solide.

Il rigore, tuttavia, non rischia di indebolire la percezione e anche la fiducia che i cittadini hanno nell’Europa?
Certo, l’Europa oggi rischia di essere vista come esattore, un soggetto che dice solo no e impone minestre sgradite. Chiediamoci però cosa saremmo senza Europa. Ogni Paese andrebbe per la propria strada: Inghilterra e Olanda rafforzerebbero i legami economici con gli Stati Uniti, la Germania e i Paesi dell’Est con la Russia, la Spagna e il Portogallo con il Sudamerica. Italia e Francia molto probabilmente si guarderebbero negli occhi in un Mediterraneo con l’altra riva ostile. Tutto questo in uno scenario di inflazione molto alta e senza prospettive.

Invece, rimanendo uniti che ruolo possiamo giocare?
L’economia europea è la più importante concentrazione di produzione e consumo a livello mondiale. Siamo primi in settori come la chimica, la farmaceutica e in alcuni ambiti dell’elettronica. Il mondo ha fiducia, sia pure con il contagocce, anche nell’euro, nonostante le apparenze. Le riserve monetarie mondiali per un terzo sono in euro.
Il dollaro è al 60%, era all’80% dieci anni fa. Questo significa che c’è un’apertura di credito verso di noi. Tuttavia, se in un tempo ragionevole non si capirà dove va davvero l’Europa, se dietro a una moneta non c’è anche una volontà politica, ci sarà un deflusso dall’euro. E questa fiducia col contagocce non ci sarebbe più.

Il progetto dell’euro è davvero a rischio?
Nel lungo periodo forse sì, quello che escludo è che l’euro possa affondare da un momento all’altro. Le crisi non avvengono in questo modo. Può succedere che l’euro perda fortemente di valore, anche se non lo credo molto probabile perché la moneta di riferimento è il dollaro e al momento non è messa meglio. In ogni caso, lo ripeto, l’Europa è molto di più di un progetto economico. Non dimentichiamolo!


Speciale – L'EUROPA CONVIENE 2 / 6

Le risposte alla crisi, la difesa della moneta unica, il confronto non facile con il resto del mondo. Dove sta andando il vecchio continente? Vale ancora la pena stare insieme? Sì, ma senza scorciatoie, perché il sogno di unità è la soluzione, non il problema.

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