Dalla parte giusta

Pubblicato il 15-08-2012

di sandro

di Sandro Calvani - Grandi istituzioni e cittadini hanno la stessa responsabilità nel preparare quei cambiamenti che possono migliorare il mondo.

La complessità della globalizzazione e le attese della pace vanno affrontate un pezzetto alla volta. Il mondo ha bisogno di entusiasti e di persone responsabili disposte a metterci la faccia. Il contrario, cioè non metterci la faccia, non assumere responsabilità in proprio, pensando che il singolo non conta, che sono altri a decidere, è il principale abuso etico del nostro tempo. Quel qualcosa che posso fare io, non lo farà certo nessun altro. Ma la responsabilità personale non conta di più delle scelte della comunità. Queste due responsabilità non vanno messe in alternativa; le responsabilità personali e le scelte collettive sono complementari, servono tutt’e due con lo stesso livello di priorità. Però oggi c’è bisogno di intensificare la partecipazione, che non significa ritirare le deleghe a chi deve decidere del bene comune, ma piuttosto far sentire con i fatti, più che con le parole, che siamo seri e determinati circa le nostre aspirazioni di pace e di giustizia per tutti.

Nella mia esperienza in molti anni a servizio dei diritti umani e dello sviluppo, in tanti Paesi del mondo, ho visto che metterci la faccia funziona. Ho vissuto a fianco dei drammi più disumani e dei conflitti più sanguinosi degli ultimi tre decenni e sono testimone del fatto che “i cuori sono più forti quando battono in risposta a nobili ideali”. L’osservazione è di Ralph Bunche, un collaboratore americano delle Nazioni Unite che vinse il premio Nobel per la pace nel 1950. La sua frase celebre è scolpita sui marmi del Palazzo di Vetro dell’ONU, ma funziona soprattutto fuori dai palazzi, laddove i costruttori di pace e di giustizia lavorano nelle periferie del mondo a fianco alle persone più povere.

Ci sono forti critiche verso i palazzi del potere, anche quelli dell’ONU. Molti costruttori di pace, me compreso, sono scandalizzati dell’ignavia delle Nazioni Unite, laddove l’incapacità di decidere ed intervenire con azioni risolutive ha fatto sì che l’ONU sia divenuto qualche volta più parte del problema che della soluzione dei diritti umani negati e del cammino troppo lento verso gli obiettivi di sviluppo del millennio. Allo stesso tempo è vero anche che le Nazioni Unite non possono decidere se le Nazioni sono disunite, cioè se per i Paesi membri dell’ONU contano di più gli interessi nazionali che quelli globali. Spero che lo sforzo emergente al G20 e all’Assemblea dell’ONU verso più democrazia reale nelle scelte globali abbia successo e permetta ai popoli di lavorare uniti in forme più estroverse per il bene e la pace di tutta l’umanità.

Poco alla volta sono emerse aree di consenso sul buon governo dei beni pubblici globali. Le Nazioni Unite sono state concepite per difendere la pace, attraverso un rafforzamento della libertà dalla paura e della libertà dal bisogno. Solo nel 2000 però la maggior parte dei governi ha accettato che il buon governo deve costruire, con la stessa priorità e allo stesso tempo, i diritti e le libertà, lo sviluppo senza povertà diffuse e la sicurezza di tutti. Ma dal dire al fare…

Colpa della burocrazia? Alcuni esperti di sistemi di governo dicono che è quasi inevitabile che le burocrazie complesse perdano il cuore e vivano solo di prassi e regole burocratiche, diventino anonime, poco trasparenti e poco capaci dei cambiamenti che vuole la gente. Ma quegli esperti si sbagliano di grosso. Ho dedicato tutta la mia vita professionale alla gestione del cambiamento, all’innovazione creativa, non perché mi piaccia la stranezza di difendere un’opinione certo minoritaria in quasi tutti i popoli. Ma perché il cambiamento è necessario alla vita e alla crescita. È una verità scientifica. Ciò che non cambia continuamente o muore o è già materia morta come i sassi. È falsa la paura che il cambiamento minacci le tradizioni, le regole o le buone pratiche acquisite dall’esperienza. Un albero molto vecchio ma sano produce molti più semi o gemme di uno giovane. È solo l’albero carico di rami secchi che non produce più nulla di nuovo. Reagan diceva che non ci sarà mai un sistema di governo dei beni pubblici così efficiente da far sì che si possa fare a meno dei volontari. Ma poi spiegava che la partecipazione dei volontari rappresenta un continuo stimolo all’innovazione dei servizi e al tenere gli occhi aperti su nuove fasce vulnerabili che le amministrazioni di governo hanno maggior difficoltà ad identificare, ascoltare e servire.

Testimoniare la pace, i diritti umani, la giustizia, senza preoccuparsi di far piacere ai potenti, è possibile in qualunque professione, anche in tempi di crisi. Sono tra quelli che ci credono fermamente ma penso che bisogna metterci anche dosi abbondanti di coraggio e di discernimento. Ci vuole coraggio per accettare il rischio di andare controcorrente, per avere la forza di mettersi dalla parte del più debole anche quando non conviene per il quieto vivere o per la carriera. Ci vuole discernimento per restare umili anche in posizioni privilegiate e non approfittarsene per il proprio tornaconto. Coraggio e discernimento sono condizioni essenziali dell’integrità professionale quando si ha a che fare con i potenti. E poi non è vero che di solito i potenti sono nemici del diritto e della pace. Nelle situazioni di diritti negati e di conflitto ho notato piuttosto che pochi potenti sanno essere leader capaci di convincere per il cambiamento necessario, e allora rimandano le scelte decisive e si nascondono dietro la loro anzianità di carriera, il loro grado, un’aura di superiorità per non mettersi in discussione, per rendersi intoccabili o irraggiungibili anche dai loro collaboratori. In pratica, invece che potenti, alcuni diventano solo ottusamente prepotenti.



Ma quando qualcuno va a controllare e tira le lunghe barbe o gli abiti di gala scopre che era tutto finto
, inventato apposta per nascondere le pusillanimità o l’ignavia di cui soffrono e per tenere lontano chi li sfida sui valori etici. L’ignavia è il cancro più nascosto e più pericoloso del nostro tempo. Sembra proprio che apatia ed ignavia siano l’unica malattia grave alla quale la scienza non ha provato a trovare una cura. Eppure l’umanità intera si riconobbe del tutto nell’epitaffio posto sul museo dell’Olocausto a Washington: Thou shalt not be a victim. Thou shalt not be a perpetrator. Above all, thou shalt not be a bystander. Non dovrai essere una vittima, non dovrai essere un malfattore. Soprattutto non dovrai essere un indifferente. Per scacciare il cancro dell’indifferenza ci vuole la prevenzione dell’etica del servizio e la chemioterapia del senso dell’urgenza: per cambiare bisogna essere stufi di essere stufi tutti i giorni e fare il salto di qualità dallo sdegno alle azioni quotidiane di restituzione di diritti, di giustizia, di pace.

Se questa specie umana di homo sapiens si rende conto che sta precipitando verso l’homo ignavus troverà il coraggio e la creatività per mettersi insieme a quei testimoni che preferiscono invece modi di vivere da homo solicitus, cioè la persona-cittadino che sa essere cosciente, accetta le sue responsabilità globali, si impegna ad educarsi ed educare, lavora per risultati e non per procedure, ed ha un forte senso dell’urgenza.

 

da NP 2010, n.7

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