Crimini contro la pace

Pubblicato il 04-10-2023

di Edoardo Greppi

I crimini di guerra che sono stati commessi e continuano a essere commessi in Ucraina trovano la loro origine nella guerra di aggressione scatenata dalla Federazione Russa contro l’Ucraina. Si tratta di una guerra del tipo di quelle che pensavamo/speravamo di esserci lasciati alle spalle. Si presenta, infatti, come una guerra di conquista territoriale, come quelle dell’800 e del ‘900 e, come tale, vietata dalla Carta dell’onu.

La corte penale internazionale ha emesso due mandati di arresto per una specifica fattispecie di questi crimini, ma quello di aggressione è rimasto, per così dire, sullo sfondo.
Il crimine di aggressione è previsto dallo statuto di Roma della corte penale internazionale, accanto al genocidio, ai crimini contro l’umanità e ai crimini di guerra. Tuttavia, né la Russia né l’Ucraina hanno ratificato questo importante trattato multilaterale (che vincola oggi 123 Stati). Di conseguenza, non sarà possibile portare dinanzi alla corte (tribunale permanente, che ha sede all’Aja) i dirigenti della Federazione Russa, in primis il presidente Vladimir Putin. All’indomani della Seconda guerra mondiale, alcuni massimi dirigenti del regime nazista furono processati a Norimberga (novembre ’45-ottobre ’46), da un tribunale militare internazionale costituito con un accordo, concluso a Londra nel 1945, tra Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica e Francia. Il primo capo d’imputazione era relativo alla “cospirazione” per scatenare guerre di aggressione, mentre il secondo era dedicato proprio alla progettazione, allo scatenamento e alla conduzione di guerre di aggressione. I crimini di guerra e quelli contro l’umanità erano contemplati soltanto nei successivi capi d’imputazione. In altre parole, l’architrave del processo ai criminali nazisti era rappresentato da quelli che l’accordo di Londra qualificava come “crimini contro la pace”. La logica giuridica segue comprensibilmente quella umana: i crimini di guerra sono la diretta conseguenza (e comportano la relativa responsabilità) dell’aver deciso di aggredire uno Stato, quello nel quale poi i crimini vengono commessi.

Mentre la responsabilità dei crimini di guerra (come di quelli contro l’umanità e del genocidio) può essere attribuita a persone che occupano posizioni molto varie nella catena di comando (dal comandante di una unità combattente giù giù fino al soldato semplice), il crimine di aggressione è considerato un leadership crime. Chi lo commette, cioè, si trova ai più alti livelli del potere decisionale (capi di Stato o di governo, ministri, comandanti delle forze armate). Questo spiega la riluttanza degli Stati (cioè dei loro governi) ad accettare norme stringenti in materia.

Nel caso dell’Ucraina, possiamo constatare che non è agevole portare la dirigenza russa – lo zar sovietico in primis – davanti alla corte penale internazionale. La Russia non è uno Stato parte dello statuto di Roma e non accetta quindi la giurisdizione della corte. L’alternativa sarebbe il deferimento del caso da parte del consiglio di sicurezza dell’onu. Ma la Russia detiene il famigerato “diritto di veto”, e bloccherebbe qualsiasi iniziativa in quella direzione.
In questi mesi si è cercato e si continua a cercare una via praticabile. La corte è un tribunale permanente e precostituito. L’alternativa sarebbe l’istituzione di un tribunale “speciale”.
A questa possibilità sono dedicate diverse iniziative nella comunità internazionale, a partire da quelle maturate in seno all’Unione europea.
Il parlamento europeo ha adottato una risoluzione sull’istituzione di un tribunale per «indagare e perseguire il crimine di aggressione commesso dai dirigenti russi nei confronti dell’Ucraina» o, in alternativa, fare adottare una risoluzione da parte dell’assemblea generale dell’onu.

La ricerca di una adeguata base giuridica per un tribunale speciale non è facile. I modelli precedenti sono sostanzialmente tre. Il primo è il citato tribunale di Norimberga, costituito in base a un accordo multilaterale tra Stati. Si tratterebbe, però di un precedente che gli Stati hanno sempre affermato di considerare consegnato alla storia, e non riproducibile. Il secondo è quello dei due tribunali penali internazionali ad hoc, per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda. Questi furono istituiti nel 1993 e nel 1994 con decisione del consiglio di sicurezza dell’onu che però, oggi, sarebbe paralizzato dal veto russo. Un tentativo di fare adottare un decisione simile da parte dell’assemblea generale (anziché dal consiglio di sicurezza) sarebbe suscettibile di critiche per la debolezza del fondamento giuridico. Una terza via sarebbe quella – come nei casi della Sierra Leone e della Cambogia – di costituire un “tribunale misto”, fondato su un accordo tra l’Ucraina e le Nazioni Unite (di nuovo, però, a iniziativa degli Stati in assemblea generale).

Tutte queste ipotesi alternative alla corte penale internazionale, comunque, devono fare i conti con la necessità di rispettare il principio di legalità e tutte le garanzie giudiziarie. Dopo una guerra come questa, ci sono pericoli seri di scivolare dalla giustizia alla vendetta. Questo sarebbe un drammatico e doloroso passo indietro nella storia del diritto e della giustizia penale internazionali.
Nel presentare un libro sul processo di Norimberga, il senatore Edward Kennedy aveva richiamato «il rispetto che avevamo giustamente guadagnato quando abbiamo dimostrato al mondo l’immenso potere del primato del diritto». Questa è la sfida che anche oggi la comunità internazionale è chiamata ad affrontare, con serietà, determinazione e coraggio.


Edoardo Greppi
NP agosto / settembre 2023

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok